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La rivoluzione di al Sisi…“a smart person”.

Creato il 30 aprile 2015 da Lilianaadamo
La rivoluzione di al Sisi…“a smart person”.

Democrazia e Islam sono compatibili? Un invito da porsi non senza imbarazzo soprattutto in quello che fu il giorno successivo la strage alla redazione di Charlie Hebdo, a Parigi. Un dubbio che pone un rebus a mille altre riflessioni fino a concludere di come soltanto le comunità musulmane possano restituirci dal canto loro, una risposta univoca.

Nel vuoto politico dello scenario internazionale, se da una parte imperversa il mattatoio del Califfato minacciando l'intera area dell'Africa settentrionale, come la violenza estremista di Boko Aram in Nigeria, di al-Shabaab negli attacchi in Kenya, oltre a frammentarie milizie di terrorismo sparso (per lo più criminali comuni ed emarginati), dall'altra (Egitto e Paesi del Golfo), appare sempre più auspicabile "una rivoluzione religiosa dell'Islam" che potrebbe risolversi in normale propaganda, in attesa che il vento cominci davvero a cambiare rotta.

Abd-al-Fattah al Sisi, l'oscuro generale delle forze armate egiziane, che, dal 14 agosto 2013, ha soffocato nel sangue la rivolta dei Fratelli Musulmani, fino alla destituzione dell'allora presidente Mohamed Morsi, oggi, nuova guida di un paese che ha voglia di rinascita e riscatto sociale, sembra non aver dubbi. Il primo gennaio scorso, all'università di Al Azhar, subito dopo l'attacco terroristico alla redazione parigina, di fronte a un auditorio quasi colto alla sprovvista e composto d'imam, ulema e dotti, le parole pronunciate sono state di quelle che difficilmente possiamo aspettarci da un musulmano sunnita osservante, seppur capo di stato: "Ora mi rivolgo ai religiosi e agli imam. E' inconcepibile che il pensiero da noi ritenuto più sacro faccia dell'intera umma (la comunità musulmana universale), una causa d'ansietà, pericolo, morte e distruzione nel resto del mondo...Questo pensiero - e non parlo di religione - ma di pensiero, questo corpo di testi e idee che abbiamo sacralizzato nel corso dei secoli, fino al punto che separarsene è diventato quasi impossibile, si sta inimicando il mondo intero. Il mondo intero c'è nemico! E' possibile mai che 1,6 miliardi di persone (in toto, i musulmani), vogliano uccidere i restanti sette miliardi d'abitanti nel mondo, per vivere e affermare il loro credo?No, questo non è possibile".

E dunque, al cospetto dei garanti più autorevoli nel consiglio sunnita, senza tradire il benché minimo nervosismo, il presidente ha suggerito "una rivoluzione religiosa", un percorso con un obiettivo preciso: riformare l'islam e al pari del cristianesimo, renderlo conciliabile al senso democratico del vivere comune. Una "mission" condividibile e altisonante, quanto poi possibile in atti pratici è tutta da vedere. Intanto, cresce nel paese la caccia alle streghe verso omosessuali e atei, additati come fonte di pericolo per la "moralità pubblica", mentre la repressione mette fuori legge migliaia d'aderenti alla Fratellanza e sulla testa del suo predecessore, Mohamed Morsi, pende una "condanna a morte". Se non bastasse, sono perseguitati anche i veterani della cosiddetta "primavera araba", ex attivisti di piazza Tahrir e continuano le controversie sull'uccisione di Shaimaa al Sabbagh (con una drammatica ripresa in "diretta", subito rimbalzata in tutto il mondo attraverso i social networks). Perfino i testimoni oculari sull'assassinio della militante nell'Alleanza Socialista, poetessa e oppositrice del regime, sono stati fermati e arrestati dalle forze di "sicurezza". Con ventitré morti lasciati sull'asfalto, nel bilancio finale degli scontri per il quarto anniversario delle rivolte nel 2011, a tutt'oggi le autorità continuano a difendere a spada tratta, l'operato della polizia.

Ma chi è, in realtà, questo compassato leader sessantenne, ex ministro della Difesa (proprio sotto l'egida dell'ex presidente islamista) e capo delle Forze Armate, che ha formalmente "tradito" il suo mentore, con un clamoroso e incruento "colpo di stato"? Che, secondo tanti esponenti della nuova intellighenzia egiziana (dal ricercatore Tewfik Aclimandos, allo scrittore Ala Al Aswani), ha impedito, di fatto, l'insorgere e la deriva di una guerra civile? Il famoso discorso sopra citato termina con un'esortazione, pressappoco una solenne paternale diretta agli imam e non solo per chi fosse presente: "Ciò che vi sto dicendo, voi non potete comprenderlo se resterete intrappolati nella vostra mentalità...Ho detto e ripeto, che noi abbiamo bisogno di una rivoluzione religiosa. Voi imam, siete responsabili dinanzi ad Allah. Il mondo intero, ripeto, il mondo intero attende una vostra mossa...perché l'intera umma musulmana è lacerata, distrutta, si sta perdendo. E si perde nell'opera delle nostre mani...". E il giorno successivo, in prima assoluta per un capo di stato egiziano, ha partecipato al Cairo alla Messa solenne tenuta dal patriarca Tawadros in occasione del Natale dei cristiani, copti ortodossi, da sempre considerati cittadini di serie B. Tant'è.

Nessuno a Gamaleya, centro pulsante dell'antico Cairo più tradizionalmente islamista, avrebbe mai previsto un futuro così radioso per quel ragazzo taciturno, secondo di otto fratelli, cresciuto in una famiglia benestante, molto religiosa, ma dai modi umili che, dopo la scuola, si recava tutti i giorni ad aiutare il padre in bottega intarsiando mobili, tra i bazar di Khan el Khalili, la meta più frequentata dai turisti dopo le Piramidi. Seppur con quel carattere riservato e devoto, Abd-al-Fattah scelse la carriera militare, scalando i gradi nelle brigate di fanteria meccanica, rimarcando le sue doti di leadership e di comando. Negli ultimi anni di Hosni Mubarak, fu trasferito all'intelligence militare, un particolare che gli ex attivisti di Taharir non gli perdonano, poiché questa struttura militare rappresenta l'icona di crimini e torture verso il popolo e i dissidenti. Molti si chiedono se chi guida l'Egitto sia allora un nuovo autoritario, un islamista rivoluzionario, un nazionalista, la somma di tutto ciò o la sua contraddizione.

Abd-al-Fattah al Sisi cita a memoria il Corano ma mette al bando i Fratelli Musulmani, garantisce un livello di libertà religiose mai conosciuto finora, ma reprime la libertà sessuale e d'identità, parla di democrazia con l'approvazione di una nuova Costituzione, ma è lontano dalla completa tutela dei diritti umani e della laicità. Un passo avanti, due indietro: il nuovo presidente resta un mistero per le stesse diplomazie accidentali, che di lui apprezzano il pragmatismo, insieme alla capacità d'essere agli occhi degli egiziani una "smart person" (è questo l'appellativo suggerito da un occasionale compagno di viaggio, un grasso business man alessandrino, incontrato su un aereo diretto al Cairo).

Perché al Sisi ha ben saputo conquistarsi l'appoggio e le simpatie nella stragrande maggioranza della gente: è l'uomo che (nel 2013), è apparso solidale (insieme a polizia, esercito e Servizi segreti), alla campagna di firme Tamarrod (Ribellione) nelle manifestazioni anti Morsi. E' l'uomo invocato dal popolo nelle piazze: "Sisi, Sisi enta raisi" (Sisi, Sisi, sei tu il mio presidente). E' l'uomo che ha riportato l'ordine e acceso la speranza. E' colui che è apparso in televisione, senza enfasi, annunciando con un secco comunicato, l'attacco aereo in Libia per ritorsione contro il famigerato Daesh (come spregiativamente è chiamato lo Stato islamico e il suo braccio armato, l'Isis), dopo la mattanza dei ventuno lavoratori cristiani copti sulla spiaggia di Sirte.

In modo sacrosanto, al Sisi ha rivendicato il diritto a perseguire gli autori del massacro, recandosi in seguito dal presidente francese Hollande e direttamente all'Onu, chiedendo a gran voce interventi mirati, anche se, da una lettura trasversale, s'intravede l'occasione a proporsi come elemento affidabile a capo di un'alleanza internazionale, che, per iniziativa degli Stati Uniti, si schiererebbe contro il terrorismo di matrice islamista dove sicuramente l'Egitto si porrebbe come primo attore in assoluto.

Non a caso gli osservatori ravvisano una precisa "strategia" nel raid egiziano a Derna, con gli interessi italiani fatalmente compromessi. Infatti, subito dopo gli attacchi della Nato nel 2011 (spodestando il colonnello Gheddafi con tutte le conseguenze che conosciamo), se il nostro paese sembra aver abdicato alle proprie partecipazioni di natura economica, a favore di Francia e Gran Bretagna, qualora l'Italia accettasse un intervento armato a fianco di al Sisi, questo darebbe via libera "all'estensione egiziana " in Libia con il colpo di grazia definitivo a nostri privilegi in tema di contratti petroliferi fino al controllo dei flussi migratori.

Rivoluzione religiosa dell'islam o meno, il discorso rimane sempre uguale a se stesso: petrolio, business sulla pelle dei migranti, interessi cruciali ritrovati e mancati man mano che avanzano la Jihad e il Daesh. Con provata determinazione, il progresso del nuovo regime di al Sisi sembra voler accettare la sfida rafforzando la sua affidabilità in patria, come pure sul piano internazionale e "the smart person..." ha tutte le carte in regola per spuntarla.


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