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“Il mito di Leopoldo Trieste”: intervista a Gaetano Pizzonia

Creato il 08 giugno 2013 da Af68 @AntonioFalcone1

IMGHo avuto modo di conoscere Gaetano Pizzonia (nato e residente a Reggio Calabria), docente in pensione di Storia e Filosofia negli Istituti Magistrali e nei Licei, in seguito ad uno scambio di commenti avvenuti sul mio blog, relativamente all’articolo Ricordando Leopoldo Trieste: sono venuto a sapere di come da poco avesse scritto un libro, in forma di saggio, Il mito di Leopoldo Trieste (Laruffa Editore) e così, dopo averlo letto con vivo interesse (è una lettura piacevolmente coinvolgente, che consiglio a tutti i cinefili e quanti vogliano conoscere meglio il grande artista, del quale emerge pagina dopo pagina un ritratto ben definito e completo), ho contattato l’autore per l’intervista che potete leggere di seguito. Pizzonia, oltre ad aver collaborato a Scuola 2000, Diagramma, La Gazzetta del Sud, Scuole di Reggio e Provincia, Fata Morgana Editrice, ha pubblicato:La pedagogia scientifica e La scuola dei bambini nei nuovi “Orientamenti”, entrambi per i tipi della Fratelli Conti Editori ( Napoli, ’75 e ’87); Biografia di D.N. Vitale in Poesie edite ed inedite di Domenico Napoleone Vitale, a cura di Fera e Tuscano (Pellegrini editore, Cosenza, ’88); Il profeta dell’anarchismo (Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria, 2007).

Professor Pizzonia, un suo ricordo di Leopoldo Trieste, l’uomo, l’amico, l’artista.

“Il mito di Leopoldo Trieste”: intervista a Gaetano Pizzonia

“Lo sceicco bianco”

Sono molti i ricordi che si affollano nella mia mente, in modo particolare l’ultima telefonata avvenuta solo qualche giorno prima della dipartita, allorquando mi aveva assicurato che stava bene e che mi avrebbe chiamato da lì a poco per tranquillizzarmi.
Leopoldo era un uomo speciale, lo dico senza retorica; un amico leale, affettuoso e sincero, capace di donare all’amicizia “il calore del prodigio”.
A tale proposito Kezich scrive a Fellini, parlando di Leopoldo, “Fortunati noi che abbiamo un simile amico”; un artista serio e responsabile che non si affidava solo alle ricche risorse umane possedute, ma che faceva leva anche sulle sue straordinarie capacità intellettive.

Nel libro Il mito di Leopoldo Trieste (Laruffa Editore), nelle librerie dallo scorso Aprile, lei narra la vita di “Poldino”, come lo chiamava affettuosamente Fellini, dalla giovinezza a Reggio Calabria, sua città natale, agli studi a Messina e Roma, sino alla definitiva affermazione come attore: risalta in particolare la personalità propria di un intellettuale raffinato ed estremamente duttile, forte in egual misura sia di un notevole estro culturale che di una grande umanità.

“Il mito di Leopoldo Trieste”: intervista a Gaetano Pizzonia

“I vitelloni”

Preciso che Leopoldo ha frequentato il Liceo-ginnasio “Tommaso Campanella” di Reggio Calabria.
A Messina si recava per assistere alle rappresentazioni teatrali perché Reggio era priva di teatri. La sua dote principale era la modestia, cui si aggiungeva una eccezionale sensibilità che lo portava ad amare, da laico, tutto il creato. In una testimonianza in sede di presentazione del saggio un giornalista che lo aveva conosciuto di persona, lo definì un “bambino cresciuto” che aveva l’innocenza a fior di pelle … Che anche se si parlava di Germi o di Fellini era capace di fermarsi per accarezzare un geranio.

Trieste, come lei sottolinea nella sua opera, è stato drammaturgo ancor prima che attore, ha portato nel nostro teatro quel realismo già affermatosi in ambito cinematografico, per mezzo di rappresentazioni scarne, crude: un titolo su tutti Cronaca del ’46, il primo dramma sull’Olocausto.
Dall’esordio ne Lo sceicco bianco, ’50, di Federico Fellini, il cinema fa suo “un attore per caso”, che da qui in poi ci regalerà splendide caratterizzazioni, però viene da pensare a quanto avrebbe potuto ancora offrire in ambito teatrale, considerandone preparazione (il diploma in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma) e felici intuizioni…

“Il mito di Leopoldo Trieste”: intervista a Gaetano Pizzonia

“Il nome della rosa”

Il prof. Mario Verdone in un suo trattato considera Leopoldo Trieste “padre del neorealismo teatrale”. Anche se è stato, come dice il giornalista RAI Vittorio Castelnuovo in Millepagine, una delle maschere più tipiche della cinematografia italiana, il “traviamento felliniano” ha privato la letteratura italiana di un geniale autore e il teatro mondiale di un drammaturgo di talento.
Nel 1995 la Germania per scrollarsi di dosso il pesante fardello del “senso di colpa”, per “amore della verità” ha fatto conoscere al popolo tedesco Cronaca, prima opera teatrale al mondo che affronta il problema dell’Olocausto, col titolo Die Umarmung, cioè L’abbraccio, in riferimento alle delazioni richieste dalla Gestapo per rastrellare gli ebrei.

Penso alla presenza scenica di Trieste, tra naturalezza, timidezza e ritrosia. Una figura per certi versi defilata, nonostante la sua rilevanza culturale e artistica, un modo insolito di proporsi nel mondo dello spettacolo già ai suoi tempi.
E oggi? Quanto manca al nostro panorama culturale un personaggio di tale levatura, considerando l’odierno culto dell’immagine o, meglio, dell’apparenza sfrontata?

“Il mito di Leopoldo Trieste”: intervista a Gaetano Pizzonia

“Nuovo Cinema Paradiso”

Proprio oggi, periodo dominato dal “culto dell’immagine”, manca il talento di “Poldino”, attore capace di calarsi nella parte a tal punto da annullare la dicotomia, presente anche in molti bravi attori, interprete –personaggio (frate Michele da Cesena, in Il nome della rosa; Il signor Roberto ne Il padrino II; il partigiano per caso in Un giorno da leoni, Il signor Domenico, in Gente in viaggio, etc.).

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