Da “I guardiani delle immagini”_Roma, sabato 9 marzo
Sul numero di marzo di WORDS without BORDERS dedicato alla narrativa spagnola inedita in inglese, trovano spazio anche le voci di alcuni scrittori siriani contemporanei.
A parlare sopra tutti è il poeta siriano Golan Haji (Amouda, 1977) che, nel testo che trovate di seguito tradotto dall’inglese (da me), riflette sull’incapacità dei poeti di scrivere su quanto sta accadendo nel suo paese.
I versi di L’autunno, qui, è magico e vasto, che trovate su WWB nella versione originale e tradotta in inglese, scandiscono invece i tempi di un inverno terribile, fatto di polvere, lacrime, pioggia e desideri irrealizzati, in un mondo in cui “nulla arresterà lo scorrere di tutto questo sangue, se non il sole e il vento”.
Abdelkader al-Hosni, altro poeta siriano, in Sulla porta della casa del mio amico, trova nel silenzio il conforto necessario per trovare il coraggio di suonare al campanello della casa del suo amico, nel timore di non trovare più le cose come stavano prima, dopo dieci anni di lontananza tra i due. Testo a fronte arabo/inglese.
Lukman Derky (Derbassiya, 1966), in Oscurità, una lunga poesia scritta nel 2000, compone un’elegia straziante per tutti i morti in guerra. Testo solo in traduzione in inglese.
Concludono la rassegna 6 Racconti dello scrittore Zakariya Tamer (Damasco, 1931), in testo a fronte arabo/inglese.
***
Golan Haji: Appunti sulla poesia siriana
In un momento di simultanea disintegrazione e creazione, la sopravvivenza si annuncia lì, dove si annida il pericolo. Cosa vuol dire essere siriani oggi, quando una fine che non ha fine e un inizio sconosciuto sono intrecciati col sangue? Cosa vuol dire vivere e morire da straniero nel tuo paese, o come uno straniero, ma di tipo diverso, in esilio? Come può un poeta rendere giustizia alle emozioni complesse e alle idee che queste circostanze hanno causato in Siria e all’estero fin dal marzo 2011? Dove si può trovare un qualsiasi plausibile approccio?
La Siria è stata celata ai siriani. Oggigiorno, i siriani si sentono parte del loro paese, ognuno a modo proprio. Questa esperienza continua di dolore e speranza, questa rivoluzione in cui la maggior parte dei siriani si trova da due anni, ha portato alla luce molti contrasti repressi e ha cambiato il modo con cui rimettiamo insieme i pezzi del nostro passato. Le conseguenze di tale catastrofe inflitta ai siriani gettano un’altra luce sulla lunga storia del regime fatta di omissioni e crimini. Una molteplicità di idee e immagini giace alla rinfusa nelle nostre menti e per terra, e stordimento e terrore coglieranno chiunque avrà il coraggio di guardarvi.
Golan Haji
Le poesie qui presentate cercano di porsi degli interrogativi, di accumulare domande. I poeti, per quanto geograficamente lontani, si preoccupano tutti allo stesso modo di riaffermare la vita. A volte, sono angosciati dalla stessa vecchia questione della complessa relazione tra l’etica e l’estetica, che ha sempre tormentato gli scrittori. In questo momento le poesie, con nostra sorpresa, tendono sempre più ad evitare di proporre una visione apocalittica del mondo e parlano di tutto, o quasi. Dalle poesie in prosa sperimentali, ai lirismi tradizionali, differenti tipologie di poesia in arabo, curdo o un’altra lingua di questo paese multiculturale, sono da contrappunto l’una con l’altra. Ancora una volta è una questione di vedere ciò che è sempre stato davanti ai nostri occhi, offuscato da paure e amore. Probabilmente, in questo momento, qualcuno da qualche parte in Siria sta componendo un poema, un’altra minuscola parte di quanto ancora non conosciamo.
***
Tratto proprio da un verso di Golan Haji era il titolo dello spettacolo teatrale dedicato alla Siria, I guardiani delle immagini, a cui ho assistito sabato al Teatro Valle di Roma: un work in progress su immagini, testi, musica, social media, e altre suggestioni dalla rivoluzione siriana, frutto di un laboratorio durato un mese che ha visto coinvolti ragazzi italiani e arabi, traduttori, esperti e attori che hanno cercato, attraverso suoni, immagini e parole, di comunicare il dolore e l’agonia, ma anche la voglia assoluta e totale di continuare a vivere del popolo siriano
In questo video potete cogliere alcune suggestioni della serata (ci sono anche io, nascosta tra il pubblico ).
Per le foto, vi rimando alla pagina Facebook del Teatro Valle Occupato che-meno-male-che-esiste-in-questa-Italia-dove-la-cultura-è-scomparsa.
O forse non del tutto.