Tranquilli non ho intenzione di parlare di bakugan, almeno non per ora! La trasformazione a cui mi riferisco è quella in aikidoka, cioè in artista della via dell’armonia con gli altri e con la vita. Sono pochi gli ingredienti indispensabili per la preparazione della pozione che trasforma, ma a quelli non si può assolutamente rinunciare, me ne sto rendendo conto man mano che passano gli anni insieme ai praticanti del mio dojo. Non credo che ci sia un ingrediente più importante degli altri in quelli fondamentali, sono tutti indispensabili: il tempo, la fiducia nell’insegnante, la fiducia nei compagni di pratica, la voglia di trovare la pace interiore.
Mi rendo conto che la maggiore o minore predisposizione fisica possono solo in alcuni casi rendere più o meno facile l’apprendimento degli schemi motori, ma sta di fatto che esistono tanti diversamente abili che praticano, e in alcuni casi insegnano aikido anche ad alto livello, e con ciò si può fugare qualunque dubbio sul fatto che la coordinazione innata sia una qualità indispensabile per un buon esito dell’apprendimento e pratica dell’Aikido. Tuttavia le insidie che aspettano il praticante che inizia ad avere il piacere di calcare il tatami sono piuttosto dure da sconfiggere, tra queste le più rumorose sono a mio parere quelle che riguardano il “lasciarsi andare”. Fare uke piace solo a chi l’aikido lo sa praticare bene, di solito a chi inizia risulta difficile, in alcuni casi finto, un cedere che infastidisce l’orgoglio maschile di “essere sottomesso” e che si traduce in atteggiamenti di blocco o resistenza al movimento. Non ultima la paura di farsi male e di fare male che può essere oltrepassata solo con una pratica dolce e fluida e aumentando la velocità con pazienza e rispetto dei tempi dell’altro.
Ahimè occorre essere sinceri quando si parla dell’aikido ai neofiti, specie a quelli che si aspettano di imparare a difendersi , l’aikido è piuttosto un percorso autodidattico di progressivo rilassamento fisico e psichico, NON una maniera di sopraffare l’altro. Altresì è vero che nell’allenamento ben fatto, anche quando è vigoroso, così come non proiettiamo violenza e sopraffazione sul compagno/a allo stesso modo non dovremo subire l’esperienza della sopraffazione, per questo lo definisco percorso autididattico, perchè la didattica tradizionale insegnante allievo avviene solo nell’apprendimento dello schema tecnico e delle sue applicazioni ma il “significato” profondo di quel lavoro costante di coppia e dei suoi importantissimi risvolti emotivi pacificatori è qualcosa che il praticante estrapola (magari se invitato a farlo) dagli effetti psichici del lavoro corporeo.
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO –>> CLICCA QUI
Articoli BudoBlog correlati:
- Il segreto del Tao: il ritorno
- Arti marziali ed Energia pura
- Aikido nel Cuore: Seminario in Serbia con Shimizu Sensei
- Continuare sulla Via