Dal terzo anello del Palasport Dave Gahan sembra un soldatino Atlantic in un plastico di una battaglia tra bambini delle medie e l’audio non è dei migliori, malgrado la posizione centrale garantisca almeno l’effetto stereofonico. Il tour di Violator impone ascolti rigorosi perché i nuovi pezzi sono ricchi di suoni molto particolari. Siamo a cavallo tra gli ottanta e novanta e per il mio quartetto preferito è un momento difficile perché la musica sta mutando pelle e sembra che di elettronica, fuori dai dancefloor, non ci sia più bisogno. Per aver la libera uscita per il concerto la trafila è stata tortuosa quanto qualunque altra pratica burocratica da vidimare lungo una serie ben definita di passaggi tra gradi, in perfetto stile militare. Il sottotenente che si è rivolto al tenente che ha chiesto al capitano che ha chiesto al colonnello che ha visto i biglietti e non sapeva nemmeno chi fossero i Depeche Mode. Ma i biglietti costano quarantamila lire ed era fondamentale allegarli alla richiesta più che altro per mettere l’esercito di fronte al fatto compiuto, nessuno si assumerebbe la responsabilità di negare un impegno a valle di un spesa comunque di un certo peso. Così il colonnello, che è il più alto in grado ed è già troppo per una richiesta anomala ma piuttosto di basso impatto da un punto di vista della disciplina, non se l’è sentita di dire di no e ha dato l’ok al capitano che ha firmato il permesso al tenente che ha comunque ordinato al sottotenente di controllare l’effettivo orario di rientro delle reclute interessate. Una di queste tra l’altro è una copia di Dave Gahan, balla tale e quale a lui. Sarebbe stato da ingaggiarlo come cantante per una tribute band se le tribute band fossero già state inventate. E se soprattutto avesse una voce all’altezza e non quel timbro da gallina che non appena apre bocca ti cascano le braccia perché il resto è tutto sommato in linea con i canoni di quel genere di mascolinità. Conosce anche i segreti della seduzione di Dave Gahan, ma non si tratta di mosse da fare stipati sugli spalti di un concerto pop da sold out. Alla quarta o quinta giravolta in piedi con la scusa dell’applauso a non ricordo che pezzo gli arrivano due ceffoni anonimi da dietro, nel senso che anche voltandosi è difficile capire gli autori di quella coppia di sganassoni stereofonica come la melodia che si percepisce davanti, visto il buio e le luci stroboscopiche e la ressa che si dimena più o meno a tempo. Una specie di schiaffo del soldato, è proprio il caso di dirlo. Poi il concerto segue il suo corso con le hit, i pezzi meno adatti, i bis, fino alla fine quando il Palasport riversa il suo contenuto umano fuori. C’era una muro di poster alla fermata dell’autobus in prossimità della città militare, quella specie di urbe nell’urbe con le sue vie, i suoi negozi di abbellimenti da divisa, i suoi porchettari e le pizze con le patatine fritte sopra, roba che si mangia solo durante il servizio militare prima che diventi una cosa del passato. C’è proprio un muro di poster di quel concerto del tour di Violator, tutto nero con la rosa a due colori che abbiamo notato all’andata e speriamo di fermarci lì anche al ritorno, chissà dov’è il capolinea del servizio notturno. Il sosia di Dave Gahan riesce a staccarne uno ma sono tutti appiccicati con la colla degli attacchini così ne approfitto anche io senza pensare che quell’enorme manifesto arrotolato non starà mai, in verticale, nell’armadietto.
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