Il Decameron presenta interessanti spunti di riflessione nel background culturale, religioso e politico che fa da sfondo alle vicende umane degli “attori” boccacceschi. Le due parole chiave intorno a cui circoscrivere l’innovazione e il successo dell’ opera sono l’ umanità e senso dell’ arte. Aspetti che hanno avuto difficoltà a metabolizzarsi e nel mondo occidentale e soprattutto nella sua cultura. Si può dire, senza ombra di dubbio, che l’ opera boccaccesca costituisce un gup che scinde la tradizione mistico- spirituale medioevale inaugurando la trionfante stagione del naturalismo, esaltazione delle virtù umane e terrene. Il decameron avverte le esigenze di una nuova società contribuendo decisamente alla costruzione di essa dopo il buio dell’ età medioevale. Il medioevo aveva seppellito la dignità dell’ uomo faticosamente conquistata e difesa dal mondo classico. L’ uomo regredisce nel Medioevo ad un misero oggetto in balia dei flutti della religione e della morale. Le sue azioni, i suoi sentimenti non hanno un senso se non quello di fungere da medium al raggiungimento della sfera divina e spirituale. Il mondo e la società vengono ridotti ad una mera esemplificazione della amoralità dell’ uomo e di tutto ciò che concerne l’uomo. Il fine è allontanarsi, sublimare, andare al di là della sfera impudica del genere umano. Eremitaggio, ascetismo sono soltanto alcune forme di un’ esaltazione mistica estremizzata all’ inverosimile. La società medioevale entra così prepotentemente nell’ impianto della vicende umane determinandone i gusti, i modi di pensare ecc. Il tratto caratterizzante di questo periodo è il fondamentalismo cristiano vero e proprio spauracchio, prono a soffocare nel sangue qualsiasi forma di discrepanza dai dogmi( vd eresie ‘300 catari, valdesi, patarini ecc). Ma qualcosa stava inevitabilmente cambiando. La civiltà medioevale cadeva sotto i colpi di un nuovo giudice della storia: il mondo della natura. Rispettando il carattere rivoluzionario di ogni cambiamento anche quello che portò alla crisi del modello medioevale fu segnato da una svolta interna: il nominalismo. Infatti la corrente filosofica del nominalismo abbatteva un principio teorico sul quale si era erta la cultura del Medioevo: l’esistenza di universali sotto i quali raggruppare il mondo e le cose. Il nominalismo esalta invece l’individuo, l’esistenza del singolo. Come tutte le cose innovative anche lo spirito nominalista tardò ad affermarsi nella società del ‘3oo. Concezione questa che trovava remore non solo negli ambienti agresti ma anche negli orizzonti culturali dell’ epoca ( Petrarca, ad esempio, rappresenta lo spiritualismo ancora legato alla traditio medioevale). I tempi sono maturi, la società si sente matura, tacitamente si aspetta il liberatore colui che romperà i legacci di un dispotismo culturale e religioso: Giovanni Boccaccio.
Il mondo “creato” dal Boccaccio ( si renda lecita questa terminologia impropria) sembra dar voce concreta allo spirito alla società italiana che si stava lasciando alle spalle il vecchio mondo. Eppure, anche se così palese, lo spirito di rinnovamento tardava ad affermarsi, nonostante stesse attecchendo in una nuova classe sociale. La borghesia mercantile. Un nuovo gruppo di uomini che sente il bisogno di dare una riscossa ad un ambiente freddo e avulso da ogni forma di contatto con l’ esterno. Infatti i mercanti saranno coloro che reintegreranno una parte di mondo emarginata per tanto tempo. Frutto di questa generazione è il Boccaccia. Si è parlato poc’ anzi della creazione di un sistema e sociale e culturale operato dal Boccaccia. In realtà il poeta da forma e volume a qualcosa di preesistente. Questo è il destino che accomuna l’artista e la propria opera d’arte: si instaura un rapporto lontano dal tempo e dalle cose. Il gusto dell’ arte non può che non rispecchiarsi nel suo capolavoro. Tutti gli attori messi in scena sul teatro della quotidianità cercano una realizzazione e una loro armonia con il mondo e nel bene e nel male. Ci si sente attratti dalla vita terrena vista come unica forma di riscatto della propria dignità. Anche i punti di riferimento si trasformano radicalmente: la cultura viene estirpata dagli ambienti che l’ avevano offuscata e ridotta ( gli ambienti ecclesiastici), per diventare patrimoni di tutti e strumento da rafforzare per comprendere la natura. Proprio quest’ultima tanto agognata diventa oggetto di ricerca e di speculazione filosofica. Non più sacerdoti e vescovi, ma poeti, filosofi, pensatori riprodurranno nei loro ragionamenti la visione armonica della natura. Coloro che maggiormente incarnano questa concezione sono i personaggi di Giotto e Guido Cavalcanti. Il primo eccelle in pittura nella quale raggiungerà la sua consacrazione. Come dice il Boccaccio: “ Giotto, ebbe uno ingegno di tanta eccellenza, che niuna cosa dà la natura che egli con lo stile e con la penna non dipingesse sì simile a quella… e per ciò, avendo egli quella arte ritornata in luce dopo molti secoli dopo che alcuni tentavano più a dilettar gli occhi degli ignoranti che a compiacere all’ intelletto de’ savi (Dec. VI, 5). Infatti la nuova pittura del Giotto non ha più come via maestra il trascendentale,l’astruso o l’ astrattismo, ma ricopre ora una nuova dimensione intellettualistica attraverso la quale soddisfare il gusto e la saggezza. Espressione di un nuovo mondo è anche la figura di Guido Cavalcanti. Il suo ruolo riveste un aspetto molto importante soprattutto per quel riguarda la nuova dimensione: la natura. Natura che viene contemplata da cavalcanti nella egli stesso si immedesima, traendo la brillantezza intellettuale al fine di rendere vano il motteggiare della lieta brigata: “Guido, tu rifiuti d’ esser di nostra brigata: ma ecco, quando tu avrai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto?”. Guido a loro prestamente disse: “Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace”. La saviezza trova nell’ immedesimazione con la natura il suo connubio più forte. L’ intelletto, quindi, diventa l’ instrumentum regni della commedia umana del Decameron. Questo si traduce nel mondo dell’ intelligenza, dell’ arguzia che sta alla base e della fortuna del Decameron e dei suoi stessi protagonisti. Soffermiamoci sul ruolo dell’ intelligenza. Questa grande facoltà abbandona i suoi caratteri metafisici tesi alla sola comprensione dell’ essere divino, ma si “piega” ora al motteggiare della realtà, a dominare la noia e porre nell’ animo la gioiosità: il dazio da pagare è la parallela nascita di una generazione di sciocchi e creduloni.
Esemplificazione straordinaria dell’ intelligenza è il comico. La vis comica viene innescata da due fattori molto importanti: un costrutto mentale attraverso il quale far defluire il motto e la beffa e la ricerca del risus movere. Il primo aspetto risulta essere in sintonia con la nuova generazione di mercanti arguti e liberi da qualsiasi vincolo e morale e religioso. Infatti il ridere a crepapelle sulle sventure altrui non presuppone una coscienziosità del divertimento ma una liberalizzazione del riso al fine alleviare la monotonia quotidiana. La piena libertà del comico decameroniano si erge sostanzialmente sul caso. Questa componente risulta essere inscindibile nel modello di società riprodotto dal Boccaccia, poiché è sintomatico di quel processo di laicizzazione del mondo: primo contributo dato dal poeta all’ Umanesimo. Il caso, quindi, domina tutti gli ambiti della vita dei personaggi boccacceschi, mossi sulla scena del mondo come delle marionette. Il caso sui infiltra anche nelle sfaccettature più recondite delle actiones humanae: la comicità appunto. La comicità deve essere accostata necessariamente ad una componente fondamentale nella quale si identifica: il sorriso. Va fatta una puntualizzazione: il comico nel Decameron mira a raggiungere la risata sproporzionata anziché il sorriso meditato. È finito il tempo della buia riflessione; ora ci si apre alla vita. La vitalità la si evince in tutto lo spirito sanguigno che da spessore alla vis comica. Inevitabilmente in questo mondo comico si diparano come si diceva due mondi: quello dei beffatori e dei beffati, quello degli scocchi e dei savi, quello dei favellatori e dei creduloni. In tutto questo si muove la vicenda di Bruno, Calandrino e Buffalmacco. Le loro vicissitudini lontane e distanti danno vita pienamente al paradigma del comico dell’ intelligenza.
Nell’ apologia di Calandrino( al quale Boccaccio dedica ben quattro novelle) troviamo i beffatori( Bruno e Buffalmacco), lo sciocco: Calandrino e in più un elemento di innovazione: il contesto sociale e ambientale finalizzato ad amplificare la stupidità di Calandrino, facendone partecipe il mondo intero. Il ciclo calandrinesco si apre come tutte le novelle con una descrizione all’ apparenza semplice e fantastica: Calandrino si trova in disparte, ascolta avidamente le parole di Maso del Saggio; in Calandrino già divampa la curiosità. Ma è una sensazione ancora allo stato grezzo, non ancora assuefatta dalla sciocco, fino al punto in cui viene addolcita dalle parole dolci e dai propositi irreali che irretiscono il credulone. La tentazione non ha più ostacoli; la curiosità dello stupido, del bambino ingenuo non ha più argini e si proietta in una dimensione utilitaristica ed egoista. Il miraggio di ottenere e possedere pietre che lo rendono invisibile lo porta ad un’ estrema bramosia di potere e di gelosia. Sta in questo tutta la caratterizzazione del personaggio Calandrino: la sua è l’incarnazione dell’ ignorante che tende ad interpretare materialisticamente la realtà e nasconderne avidamente il segreto. Calandrino codifica un suo ideale di intelligenza volto però al solo sfruttamento dei propri amici ( Bruno e Buffalmacco). I due amici di sempre diventano medium per arrivare a quel potere disconoscendo il valore dei sentimenti. Il prodigarsi di Calandrino verso la ricerca di mezzi atti al soddisfacimento di una condizione di benessere tanto agognata, potrebbe avere un suo raziocinio nella misura in cui Calandrino fosse l’esecutore del suo piano, in realtà Calandrino ne occupa una parte marginale, perché alla sua misera avidità si contrappone tutto un mondo che ride alle sue spalle. L’ esilarante commedia raggiunge l’ acme nel momento in cui, scendendo giù per lo Mugnone,i due amici sapendo di essere defraudati diventano loro per primi partecipi delle miserie di Calandrino, essendosi avveduti del suo intento gli tirano addosso delle pietre. Il sopruso di Calandrino si trasforma in una vera e propria esplosione di ilarità quando lo sciocco furtivo torna a casa da sua moglie monna Tessa. Il mondo supporta il ridere a crepapelle di Bruno e Buffalmacco e nel contempo assiste ad una sorta di legge del contrappasso nella quale Calandrino trova l’ espiazione delle sue colpe trovandosi la casa piena di pietre ma soprattutto diventa il trastullo di coloro che sono stati “burlati”. Quindi Bruno e Buffalmacco sono i veri beffatori, coloro insomma che assistono con tacito assenso alla consunzione del dramma- commedia di calandrino che si traduce nel loro esilarante divertimento. La loro comicità, improntata sull’ intelligenza, è figlia di uno spirito vendicativo verso la plebe, ma incarna una variante che costituisce l’ essenza dei nuovi uomini plasmati e avvolti dall’ intelletto.