Come vi sentireste se un giorno vi svegliaste e vi trovaste in un mondo abitato esclusivamente da idioti? È quello che accade a Joe, l’americano medio protagonista del film Idiocracy: dopo essere stato scelto per un esperimento militare, il ragazzo viene ibernato. Per un disguido, ci si dimentica di lui e così si risveglia, per caso, nel 2505. Ormai l’America è in mano ai deficienti: lo si vede dall’organizzazione sociale, dall’estetica dominante, dall’alimentazione, dalle attività ricreative. Il suo Q.I., che è il più alto mai registrato in quell’epoca, permette a Joe di superare le iniziali difficoltà incontrate nel suo Nuovo Mondo e addirittura di diventare Presidente degli Stati Uniti.
Forse il film va vissuto come un pericolo scampato (della serie “grazie a Dio, noi lì non ci arriveremo mai”) o come un ammonimento per il futuro (della serie “dobbiamo fare qualcosa, altrimenti finiremo così”). Ma forse no. Forse il mondo descritto da questo film (in fondo, una parodia modesta e stilizzata del racconto distopico tipo Fahrenheit 451 o 1984) è semplicemente il mondo di oggi. In questo caso, la lettura del film non si baserebbe sulle differenze tra il suo scenario e il nostro, ma sulle analogie. E di analogie ce ne sono: dalla gestione dei rifiuti (semplicemente buttati fuori di casa) ai contenuti dei programmi televisivi (pubblicità, persone che saltano uno steccato ferendosi i genitali, umorismo grossolano). Almeno l’attuale Presidente americano non è un wrestler ed ex pornodivo, anche se paradossalmente è di colore, e qui bisogna riconoscere al regista Mike Judge qualche dote profetica (il film risale al 2006, in piena era Bush). Nulla di strano se il 2505 si rivela meno lontano del previsto: la “ribellione delle masse” che lo domina, quella descritta dall’omonimo saggio di Ortega y Gasset già nel 1930, non è un fenomeno nuovo. Il diritto alla volgarità e all’opinione irragionevole e violenta di cui godono gli idioti del futuro (quando Joe chiede perché innaffino le piante con una bevanda energetica chiamata Brawndo, essi rispondono stizziti «Brawndo ha gli elettroliti») va in coppia con il loro costituire una massa orgogliosamente ignorante e auto-diretta. Storicamente, Ortega mostra come l’istituzione statale abbia vissuto in simbiosi con le masse: lo sguardo indifferente e ottuso che l’uomo-massa rivolge allo Stato è lo stesso sguardo che gli viene restituito, e così Stato e masse finiscono col co-appartenersi. Non sembra necessario riferirsi a fatti di cronaca per dimostrare la pertinenza di questi concetti nel panorama odierno.
Qui non si tratta di condannare in modo velleitario un processo storico in corso da più di un secolo nè di prevederne gli sviluppi (la stessa sentenza di condanna dell’aristocratico Ortega non sembra essersi così attuata), ma si tratta di descrivere e al massimo di comprendere e di elaborare qualche “tattica di sopravvivenza”. E qui il film può fornire uno spunto interessante. Il suo meccanismo narrativo fondamentale è quello dello zombie movie (nel senso che uno dei “nostri” deve fronteggiare tutti gli altri, che compongono un agglomerato indistinto, goffo ma inesorabile), e infatti anche questo genere, soprattutto nei film di Romero, costituisce spesso una metafora della realtà e veicola un intento di critica sociale e di satira. Si tratti di deficienti o di morti viventi, l’eroe per cavarsela deve in qualche modo stare al loro gioco, fingersi uno di loro fino a diventare uno di loro: davanti a una schiera di zombies, si uccide, si dimentica la pietà e l’empatia, ci si trasforma in puro istinto assassino; alle prese con una società di idioti, si (s)ragiona con le loro categorie e si parla il loro linguaggio (per convincere la popolazione ad innaffiare le piante con l’acqua, Joe afferma che esse gli hanno confidato che preferiscono quella bevanda). Il che vuol dire che, in una certa misura, non c’è conflitto tra il singolo e le masse, ma c’è promiscuità. In parte, siamo tutti zombies. A turno, siamo tutti pirla. E il mondo, ad oggi, è nostro. Il mondo è dei pirla. Sta di fatto che quella sensazione, quella di svegliarsi un giorno e rendersi conto di vivere in un mondo di deficienti, non è così fantascientifica: la si prova, ad intermittenza, un po’ tutti i giorni.
Matteo Cattaneo