di Gregory Di Giovanni
Ogni giorno miliardi di esseri umani si alzano la mattina per recarsi a quello che è uno spaccato di vita, spesso una grossa fetta di vita: un lavoro che permette loro di barcamenarsi tutti i giorni in bollette, spesa, shopping e quant’altro.
Il mondo del lavoro è una sorta di mondo parallelo alla vita reale, un mondo in cui molta gente si rispecchia o da cui è totalmente estranea ma in cui ficca la testa per necessità o virtù.
Non è semplice trovare un lavoro al giorno d’oggi, ma ancora più difficile è trovare un lavoro che ti piaccia e che ti faccia sentire realizzato e fortunato nel farlo con passione tutti i giorni. C’è una miriade di gente che odia il lavoro che fa, ma che è costretta ad affrontare colleghi, beghe quotidiane, a sentire gente che urla e strepita per cose che nel mondo reale sono stupidate della peggior specie, ma che in un contesto sociale lavorativo sono la norma, il must.
Nel mondo del lavoro, poi, ci si imbatte spesso in falsi sorrisi, in situazioni di circostanza, in persone che nella vita di tutti i giorni non frequenteresti mai, ma che lì, in quella realtà, sono le persone che più hanno a che fare con te …ogni singolo giorno della tua vita. Se sei una persona cinica, schietta, obiettiva, riesci a vedere il tutto per quello che è: uno spicchio di vita quotidiana, uno spaccato passeggero che ha la sua valenza oggi, ma che un domani sicuramente, per infiniti motivi, sarà lontano da te anni luce.
Nel mondo del lavoro puoi essere uno strafottente lavoratore, un serio e diligente soldato, un buon lavoratore che fa il suo compito al meglio senza infamia e senza lode, un manager provvisto di inaudita cattiveria lavorativa, ma, a prescindere dal tuo ruolo e importanza, puoi essere anche uno strenuo fan dell’azienda per cui lavori e lo sei per quello che essa rappresenta, per come viene vista agli occhi degli altri; e lì la cosa più importante è l’apparenza, lo stare sempre sul pezzo in qualsiasi modo possibile. In questo caso l’importante è stare sul carro dei ruffiani ogni volta sia possibile, leccare e ancora leccare, esaltare e idolatrare capi e lavoro in una forma di venerazione perpetua che sfocia in attività di propaganda persino su profili personali di social network o in cene con amici e parenti. “Quanto è bella e figa l’azienda per cui lavoro”, “Quanto è piena di comodità e di lustrini”, “Quanto è facile organizzarsi e organizzare eventi” (falsi a cui partecipo solo io e quei quattro leccaculo come me), “Quanto non esistono dipendenti che vengono al lavoro e non aderiscono alla massa”.
Perché diciamocelo: tu devi far parte della massa, non devi essere un ominide pensante, ma devi omologarti a tutte quelle persone che la vedono come te e che come te non perdono l’occasione per sperticarsi le mani nell’elogiare un azienda che vive nel fottere il prossimo, che licenzia in sordina, che non gli importa del tuo benessere, ma solo del suo, che non gliene frega niente se tu oggi ci sei e domani sei per strada. Qui la regola che vige è una sola: morte tua, vita mea!
L’aziendalista è appunto lui: colui che si farebbe ammazzare per la sua azienda, che vive in un mondo tutto suo in cui tutto è dorato, in cui non è vero che succedono le cose brutte e se succedono fai finta che non siano successe, perché se fai finta allora sicuramente NON è successo. L’importante è fare le foto su linkedin stile fascismo, tutti in un’unica posizione, tutti con lo stesso logo, tutti con le foto su fb degli eventi aziendali (anche se sono stati disertati da quasi tutta un’azienda). L’importante è far vedere che tu ci sei, sempre e comunque!
L’aziendalista è colui che non si accorge che il mondo sta andando a picco, finché un bel giorno qualcuno con l’inganno non lo porta davanti al boia aziendale e a quel punto scopre che è giunto il suo turno e che la festa è finita. Tu sei stato e sei un numero, che ci ha fatto comodo tenere, che ha fatto egregiamente il suo dovere di specchietto per le allodole, che ci ha dato gloria! Hai contribuito al nostro lustro e ora, come tutti gli altri, sei destinato a perire. Il sipario è calato e l’aziendalista a quel punto scopre una realtà che neanche nei suoi peggiori incubi ha mai immaginato; o forse ha sempre appunto fatto finta che il mondo fosse meglio immaginarlo come voleva che fosse.
Questa storia ha una morale ben precisa, che è quella di pensare che tutto ha una fine e che devi sempre tenere a mente che sognare è bello, ma che la realtà è ancora più bella e veritiera e deve essere sempre vista per quella che è, senza aspettare di ritrovarsi nudi e con la foglia di fico davanti; perché a quel punto è troppo tardi.