A chi non è capitato di guardare indietro e rimpiangere di non aver fatto, scelto, o trovato persino il coraggio di … Quello che si avrebbe voluto fare o diventare. Il sogno nel cassetto, il se, quel desiderio non avverato che ci rimane dentro, come fosse un sassolino nella scarpa, o un tesoro da custodire, insieme all’universo delle passioni.
Tutto è iniziato quando A., un caro amico in Lussemburgo, mi ha confidato che probabilmente il lavoro che stava svolgendo, non era quello che avrebbe desiderato fare, così come l’università che aveva scelto. Con una consapevolezza profonda del fatto che non si potevano mischiare le carte sul tavolo a 28 anni. Perché la vera volontà avrebbe presupposto un università diversa, una preparazione con competenze che avrebbero richiesto del tempo. E in una serata estiva lo ascoltai affascinata dalla sue parole crude e sincere.
E c’è anche Marco, che ha appena finito il suo dottorato in biotecnologie a Barcellona ed ha deciso di prendersi un anno “di sperimentazione” (io lo definisco così) in cui vuole dedicarsi completamente alla musica, sua vera passione. Un gesto coraggioso, forse perché non ha da perdere nulla.
Cosa avrei avuto da perdere io non lo so, probabilmente non mi fidavo abbastanza di una passione forte, perché sono una persona volubile. E anche aggrappata al “mondo reale”, quello in cui devi essere autosufficiente. Mi sono detta che, di certo, una scuola di giornalismo avrebbe alimentato un lavoratore precario in più.
Oggi ho maturano anche altre considerazioni. Lo dice una che si appassiona tanto alle cose, che ama sperimentare sempre qualcosa di nuovo e che come M. deve essere sempre stimolata altrimenti si annoia. Perché quelle passioni, che possono essere per me lo scrivere, fotografare, e per Marco suonare, per Stefano cucinare, per M. leggere libri, forse sono passioni perché non sono fatte quotidianamente, in maniera ripetitiva e ordinaria; rischierebbero altrimenti di perdere il loro fascino e diventerebbero una consuetudine.