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In genere scelgo i miei film del lunedì (quando sono libero da impegni di nonno) fra quelli in proiezione ad Ostia e tenendo un po' conto dei giudizi della pagina cinema di Repubblica. I primi film visti della nuova stagione avevano – guarda caso - tutti il quadratino, un po' meno della stellina degli imperdibili”: “Non essere cattivo”, “Per amor vostro”, “Inside out”, “Io e lei”. Ho visto “Non essere cattivo” di Claudio Caligari (morto prima di poter finire il film, poi rifinito da Valerio Mastrandrea) sollecitato dalla curiosità per una storia ambientata ad Ostia, il litorale romano in cui vivo da non molto (7 anni) e in cui inevitabilmente mi sentirò sempre “straniero”. E' la Ostia degli anni 90 quando io vivevo nella mia Sicilia non sospettando della mia futura residenza. Prevalentemente Ostia di ponente là dove trovò la morte Pasolini in un film pasoliniano: quella che non frequento, preferendo la confortevole zona pedonale. La normalità dell'ozio. La normalità dell'assenza di progetti. Con lo spaccio di droga come economia di sussistenza, insieme alle piccole rapine. Ho guardato con particolare attenzione quei casotti-bar sul lungomare in cui i protagonisti consumano le loro giornate. Per poterli guardare con qualche ipotesi interpretativa in più. Giacché normalmente guardo quella Ostia senza vedere davvero. Il film è un tutto nella descrizione di quella malata normalità. A parte le sfumature fra i due amici cattivissimi, uno che tenta di uscire dal ghetto delinquenziale, l'altro no: piccoli delinquenti, lontani dalla cultura mafiosa odierna e legati da amore fraterno. Credo che l'autore abbia voluto mostrarci la complessità inestricabile di odio-indifferenza/amore: odio-indifferenza per quasi tutti, amore per pochi: l'amico, la nipotina malata. Infatti le mie lenti finiscono per suggerirmi che la malattia è nell'eccesso, quando il prossimo conta o niente o troppo. Il film rappresenterà l'Italia per l'Oscar. “Per amor vostro”, di Giuseppe Gaudino, voleva essere un film ambizioso. La tematica mi intrigava non poco. Una donna, napoletana, figlia, moglie e madre, come in molte reali storie di donne, che vive una vita per gli altri. Prima da figlia e sorella sacrificandosi per il fratello malavitoso; poi vittima arrendevole di un marito usuraio ed esaurita nelle mansioni di cura dei figli fra i quali un sordomuto. Faticosa ed ambigua la presa di coscienza della donna. Bella l'interpretazione di Valeria Golino, premiata a Venezia. Ciò che, ai miei occhi, rovina il film è la ricerca fredda, intellettualistica, della sperimentazione a tutti i costi, a partire dall'alternarsi di bianco e nero e colore, che distrae più che avvincere. Se così posso dire, non sarebbe piaciuto al mitico Fantozzi che inveisce contro la Corazzata Potiomkin. “Inside out” è un cartone filosofico diretto da Pete Docter. Le caratteristiche caratteriali variamente presenti in uomini e donne sono personificate: la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto. E nel film si contendono l'anima della protagonista adolescente, colta nel momento difficile della transizione fra la piccola città natale e la metropoli. Fra i caratteri la protagonista è Gioa, a buona ragione. Perché capace di progettare e guidare gli altri piuttosto che semplicemente manifestarsi. Anche se tutti i caratteri reciprocamente si condizionano e si “usano”. Così ad esempio si produce l'ira di Rabbia affinché possa essere usato come un lanciafiamme in un momento difficile. Il film piace più agli adulti che ai bambini. Se il film voleva essere un esercizio di philosophy for children (la filosofia per bambini che gli appassionati tentano invano di immettere a scuola), il risultato è solo parzialmente raggiunto. Interessante la metafora dell'aspirapolvere che ciclicamente fa pulizia della memoria inutile: Ancor più interessante la metafora costituita da una via suggerita ai protagonisti, via denominata del “Pensiero astratto” : una via usata appunto come scorciatoia. Troppo veloce la metafora perché potesse suggerire a menti bambine che il pensiero astratto è una scorciatoia per non replicare tentativi inutili o frustranti. Un film con qualche merito. Contribuirà a rilanciare la filosofia per i bambini, anzi per tutti, bambini, adulti, anziani, come voleva il vecchio Epicuro? Stavo per dire che ciò non è nell'agenda della “buona scuola”. Ma non lo dico. “Io e lei “ di Maria Sole Tognazzi è un film “commerciale” (a partire dalla scelta delle attrici: Bui e Ferilli) “politicamente corretto”. Senza nessun azzardo. Tutt'altro. Un film sulle peripezie dell'amore lesbico. Peripezie ma non drammi. Perché ovviamente tutti i personaggi del film nell'Italia 2015 non hanno nulla da obiettare sull'omosessualità. Anche quando ne sono infastiditi. Nell'Italia reale magari è assai peggio. Direi solo questo. Film come “Io e lei” hanno un ruolo pedagogico importante nella formazione lenta di un nuovo senso comune. La funzione che la politica fa più fatica a svolgere. Soprattutto dopo la morte dei partiti. Bene dunque. Un film come “La vita di Adele”, del franco tunisino Abdellatif Kechiche, a differenza del casto “Io e lei” non usava lenzuola ed esprimeva con forza l'amore saffico come rivelazione potente dell'Eros. Ma non ha cambiato il mondo. P.S. Che strano, non ho visto nulla al cinema sui drammi riguardanti le emergenze dell'oggi: nulla sui migranti; nulla sui disoccupati suicidi, nulla sui rom che nella mia Ostia infaticabilmente rovistano fra i bidoni delle immondizie. A volte – pare – quasi con letizia. A volte – le ragazzine – con tristezza. Con tristezza intensa quasi quanto quella dei pensionati che con pudore fanno loro concorrenza.