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Il mondo secondo Malcolm

Creato il 18 ottobre 2010 da Massimo

Ci sono romanzi che quando li chiudi dopo l’ultima pagina ti lasciano una strana sensazione addosso. La strana sensazione di quando credi di aver letto un bel romanzo ma non sai mica se l’hai capito del tutto.

Cosa voleva trasmetterci James Purdy con il suo romanzo “Malcom”? Un’insolita storia di formazione? Un ritratto della purezza visto da occhi sporchi? Una galleria di personaggi insoliti che non si vedono neanche nei romanzi degli altri?

Il mondo secondo Malcolm

James Purdy mentre cerca di ipnotizzare il lettore

La storia di Malcom è semplice: un ragazzo seduto su una panchina incontra un eccentrico personaggio, Mr. Cox, un astrologo che vedendo Malcom sperduto in un mondo suo gli offre la possibilità di comprendere quello degli altri e gli dispensa, giorno dopo giorno, una serie di indirizzi ai quali presentarsi per conoscere nuovi amici.

I nuovi amici sono: Estel Blanc, impresario nero di pompe funebri e cantante lirico, Kermit, timido e rissoso pittore nano che rifiuta di esserlo, Girard Girard e sua moglie Madame Girard, coniugi miliardari spenti dal fuoco della passione ma bagnati dal denaro e dall’alcool, Eloisa Brace, donna che capisce di jazz al contrario di suo marito Jerome, ex ergastolano e scrittore, Melba giovane cantante conosciuta in tutto il mondo a parte in quello di Malcom.

Chi sono questi stravaganti, inquieti, frustrati personaggi che incontra Malcom lungo il cammino? Non si sa chi sono, ecco la verità. L’unica cosa che si sa, è cosa vogliono: vogliono tutti Malcom. Una volta conosciuta la sua disarmante innocenza, candida inesperienza, estenuante bellezza, qualche altro aggettivo difficile da descrivere se non si legge il libro, vogliono tutti avere Malcom per sé. La domanda allora è: chi riuscirà a prenderlo?

Una storia se possiamo dire malata, malata delle conseguenze dell’amore, così come malata è la galleria dei personaggi che la frequentano, e malato alla fine finisce pure il povero Malcom, ma a parte questo non si può proprio dire altro, e intendiamoci: non ho detto niente.

 

“Davanti a uno degli hotel più grandhotel del mondo, un giovinetto aveva l’abitudine di sedere su una panchina che, quando la luce batteva in un certo modo, brillava come l’oro.
Il giovane, che non poteva avere più di quindici anni, dava l’impressione di non essere legato a niente e a nessuno al mondo, e perfino la sua ostinata attesa sulla panchina sembrava non avesse alcun senso, dal momento che raramente lo si vedeva parlare con qualcuno, e c’era qualcosa nel suo aspetto così elegante e immacolato che scoraggiava perfino chi, incuriosito dalla sua solitudine, avrebbe voluto avvicinarlo. Prima di tutto era molto probabile che fosse uno straniero e che non parlasse nemmeno l’inglese, e poi la sua espressione d’attesa era così intensa che nessuno si sentiva d’intervenire. Era evidente che aspettava qualcuno.”



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