Il Monochamus sutor, un Coleottero che minaccia i nostri boschi

Creato il 27 maggio 2011 da Gturs
Qualche giorno fa in campagna durante una breve pausa, ho notato una strana creatura che aveva deciso di usare il mio finestrino per effettuare alcune acrobazie. Avendo con me la Nikon, non ho resistito a immortalarlo. Dall'aspetto curioso, pensavo di inviare a Giancarlo Castello, l'entomologo che ci fa conoscere la fauna che ci circonda, un esemplare di chissà quali qualità benefiche invece...ho scoperto questa sera che questo Coleottero e i suoi simili, sono diventati i vettori di una micidiale malattia dovuta a un nematode...I nostri boschi sono continuamente minacciati dall'uomo, purtroppo, anche la natura ci mette del suo e quando si scomoda fa le cose in grande!!! Vi lascio alla scheda di Giancarlo Castello che saluto cordialmente senza però prima ringraziarlo per la sua preziosa collaborazione..

QUANDO UN VERME SI SERVE DEL TAXI Di Giancarlo CastelloAnche in questa nostra nuova puntata sulla Natura stiamo per incontrare un essere davvero particolare. Indispensabile conoscerlo, non tanto per la bellezza della sua Famiglia e l’importanza biologica che riveste, piuttosto per il ruolo che ha assunto all’interno di un’insidia divenuta verità scientifica... Ma cominciamo dall’inizio, come siamo abituati a fare, e analizziamo tutti gli aspetti di questa storia, piuttosto inquietante.
La Famiglia a cui appartiene è quella dei Cerambicidi (o Longicorni), coleotteri facilmente riconoscibili per le antenne, in molti casi lunghe quanto il corpo e oltre. Nonostante il loro aspetto a volte poco rassicurante, si tratta di insetti innocui, in nessun modo aggressivi, che non si curano minimamente della nostra presenza. Tutta la Famiglia comprende 268 specie, tra cui il coleottero in questione, che rientra nel genere Monochamus, distinto in: Monochamus galloprovincialis, Monochamus saltuarius, Monochamus sartor, infine Monochamus sutor, il nostro insetto misterioso. Tutte e quattro le specie, fungono da mezzo di trasporto per un malefico organismo che in altre parti del mondo ha già creato veri e propri disastri…

Foto inviatami da Giancarlo Castello


Foto inviatami da Giancarlo Castello

Il Monochamus sutor si riconosce non troppo facilmente tra i suoi congeneri, ma vediamo di descriverlo con una certa precisione. Mentre le tre specie affini sono solitamente scure e lasciano scorgere a malapena i fregi e la punteggiatura, la specie sutor è molto più luminosa e mostra lo sfondo grigio beige, in mezzo alla maculatura e ai disegni formati da peli chiari. Il capo è robusto, a cono verso il basso, simile a quello delle cavallette, sormontato da robuste antenne fatte a segmenti anulati di nero, nel maschio più lunghe che nella femmina. Ai lati del collo è visibile un’escrescenza, come una sorta di spina. Il fondo delle elitre è tondeggiante, mentre il bordo laterale delle medesime è sinuoso, a onda. Solitamente l’insetto è lungo due centimetri e mezzo, senza contare le antenne. Nelle annate regolari, senza troppi sbalzi di calore o freddi improvvisi, si può osservare nella fase adulta da giugno a settembre, altrimenti può subire anticipi o ritardi di un mese. Vive, non oltre i seicento metri, sulle sue piante preferite, ovvero varie Conifere o ammassi di loro tronchi tagliati e accatastati. Questo perché le femmine, dopo l’accoppiamento, inseriscono le loro uova tra le fessure degli abeti, dei larici o, in Europa, più facilmente sui pini. Le larve scavano gallerie di circa 15 cm e larghe 8 mm, da cui fuoriescono raggiunta la maturità, dopo poco più di un anno, con 4 mute e la costruzione di una camera speciale dove trasformarsi. Quest’ultimo stadio, la fase pupale, dura circa una ventina di giorni. Gli adulti si nutrono di germogli e parti tenere delle loro piante preferite, quindi si considera dannosa la loro presenza sulle Conifere sia da larva che da adulto. Se si prendessero in esame soltanto i suoi nemici naturali, come il fungo microscopico Beauveria bassiana, come si faceva fino a pochi anni fa, sapremmo che da soli basterebbero a bloccare gran parte dei danni... Ma qui comincia una storia ben diversa in cui le nostre quattro specie di Monochamus, senza sapere neppure ciò che stanno facendo, sono diventati i vettori di una micidiale malattia dovuta a un nematode, una specie di verme di un millimetro che, in questo caso, ha assunto il ruolo di parassita distruttivo. Tra le novemila specie esistenti di Nematodi, questa è particolarmente nefasta per molte Conifere. Il suo nome è Bursaphelenchus xylophilus, vale la pena ricordarlo perché lo sentiremo purtroppo nominare molto presto. Introdotto in Giappone da altri paesi asiatici ha iniziato la sua opera devastante, attribuita dapprima a chissà quale misteriosa malattia. In Europa è giunto alle soglie del 2000, annientando i pini marittimi di una vasta zona del Portogallo. Dato che anche in Francia sono stati accertati dei focolai di infezione, prima o poi dobbiamo aspettarci la presenza del verme.

Foto inviatami da Giancarlo Castello


Il nematode trasportato dal nostro insetto attacca anche larici e cedri, ma le piante europee più sensibili sono i pini, in particolare: pino nero, silvestre e marittimo. Si rende necessario prepararci per tempo e diventare acuti osservatori della presenza degli insetti vettori, vale a dire le quattro le specie di Monochamus, come abbiamo detto, tra i quali abbiamo fornito un’immagine dall’alto soltanto delle femmine, tralasciando i maschi. Il Bursaphelencus xylophilus si serve dei coleotteri descritti, sopravvivendo al loro interno in numero rilevante (fino a 200 mila individui). Il relativo ciclo biologico è collegato al suo speciale taxi, che lo scarrozza da una pineta all’altra, mentre i tronchi accatastati si infettano facilmente per contatto. In primavera gli adulti di Monochamus escono dal legno morto, perciò infettato, dove stavano nascosti durante la stagione fredda. Iniziando a rodere parti giovani di piante ancora sane offrono un nuovo approdo ai parassiti. Le larve dei nematodi fuoriescono dalle trachee respiratorie dell’insetto e si insinuano nelle ferite vegetali, sviluppandosi fino allo stadio di adulto. I nematodi gradiscono succhiare i canali della resina, disseccandone la produzione. Mentre i parassiti sono resistentissimi, non muoiono neppure con il disseccamento, né se vengono congelati, i pini muoiono molto presto, in pochi mesi, seccando gradatamente e visibilmente. Quando la pianta sta per morire, in concomitanza dell’autunno inoltrato, i parassiti diminuiscono, rimanendo solo le larve più resistenti al gelo che iniziano a cibarsi di uno speciale fungo azzurro delle conifere, molto deleterio.

Foto inviatami da Giancarlo Castello


Negli stessi tronchi dormono le pupe del nostro coleottero, in quella famosa fase pupale, non certo danneggiate dal deperimento dell’albero. Prima che queste si trasformino in adulti, i parassiti mutano ancora in individui da trasporto che non si nutrono ma che aspettano all’interno del loro veicolo vivente. Il ciclo riprenderà con il volo degli adulti del coleottero sulle piante nuove.E’ importante altresì imparare a valutare alcuni segni degenerativi dei pini. L’infezione si mostrerà all’improvviso e sarà necessario avvisare le Autorità competenti, compreso il Corpo Forestale. Osservando cataste di pino è opportuno rilevare una colazione verdastra o azzurrognola, diffusa tra i cerchi dei tronchi, segno della presenza dell’infezione del fungo Ceratocystis, ovvero la botta finale subita dall’albero. Per lo stesso motivo, se le piante iniziano a scortecciarsi, osservate il colore delle parti nude. Potrebbe essere l’occasione per salvare una pineta dall’epidemia, molto più che amare la natura in modo solamente astratto.Giancarlo Castello


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