Tre celebri interpreti, Lawrence Olivier, Vittorio Gassmann e Carmelo Bene, nei panni del protagonista del celebre dramma shakespeariano ambientato in Danimarca per questo girocollo (vedilo indossato) “to be or not to be”
Monologue of Hamlet (Angol)
To be, or not to be: that is the question:
Whether ’tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die: to sleep;
No more; and, by a sleep to say we end
The heart-ache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to, ’tis a consummation
Devoutly to be wish’d. To die, to sleep;
To sleep: perchance to dream: ay, there’s the rub;
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil,
Must give us pause. There’s the respect
That makes calamity of so long life;
For who would bear the whips and scorns of time,
The oppressor’s wrong, the proud man’s contumely,
The pangs of dispriz’d love, the law’s delay,
The insolence of office, and the spurns
That patient merit of the unworthy takes,
When he himself might his quietus make
With a bare bodkin? who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscover’d country from whose bourn
No traveller returns, puzzles the will,
And makes us rather bear those ills we have
Than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all;
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o’er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pith and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action. Soft you now!
The fair Ophelia! Nymph, in thy orisons
Be all my sins remember’d.
Il monologo di Amleto (Olasz)
Essere o non essere, questo è il problema.
Se sia più nobile sopportare
le percosse e le ingiurie di una sorte atroce,
oppure prendere le armi contro un mare di guai
e, combattendo, annientarli.
Morire, dormire.
Niente altro.
E dire che col sonno mettiamo fine
al dolore del cuore e ai mille colpi
che la natura della carne ha ereditato
È un epilogo da desiderarsi devotamente.
Morire, dormire.
Dormire, forse sognare: ah, c’é l’ostacolo,
perchè in quel sogno di morte
il pensiero dei sogni che possano venire,
quando ci saremo staccati dal tumulto della vita,
ci rende esistanti.
Altrimenti chi sopporterebbe le frustate e lo scherno del tempo
le ingiurie degli oppressori, le insolenze dei superbi,
le ferite dell’amore disprezzato,
le lungaggini della legge, l’arroganza dei burocrati
e i calci che i giusti e i mansueti
ricevono dagli indegni.
Qualora si potesse far stornare il conto con un semplice pugnale,
chi vorrebbe portare dei pesi
per gemere e sudare
sotto il carico di una vita logorante
se la paura di qualche cosa dopo la morte,
il paese inesplorato dal quale nessun viandante ritorna,
non frenasse la nostra volontà,
facendoci preferire i mali che sopportiamo
ad altri che non conosciamo?
Così la coscienza ci fa tutti vili
e così il colore innato della risolutezza,
lo si rovina con una squallida gettata di pensiero
e le imprese d’alto grado e il momento,
proprio per questo, cambiano il loro corso
e perdono persino il loro nome di azioni.