Il Monte Testaccio
Il Monte Testaccio, comunemente noto come Monte dei Cocci, perché costituito dai frammenti di anfore romane, è una collina artificiale di Roma, utilissima agli studiosi per documentare il commercio in Roma antica.Questa raccolta di testimonianze commerciali non è lontana dalla via d'acqua che attraversa la città, il Tevere, al quale è stato legato, anche, il destino della pianura compresa tra il fiume e l'Aventino. Questa zona, in età repubblicana, venne destinata a nuovo porto fluviale in quanto, alla fine del III secolo a.C., il primitivo porto nei pressi del foro Boario si era rivelato insufficiente per affrontare l'incremento demografico della città
Il nuovo porto venne creato nella zona extraurbana a sud dell'Aventino, che poteva fornire un collegamento diretto con Ostia attraverso la via Ostiensis. Nel 193 a.C. M. Emilio Lepido e M. Emilio Paolo realizzarono il vicino Emporium, una piazza in cui poteva trovare spazio il mercato delle merci. Nel 174 a.C. vi fu un ulteriore intervento ad opera di Q.Fulvio Flacco e A. Postumio Albino: l'Emporium divenne una banchina di 500 metri di lunghezza, raccordata al fiume per mezzo di gradinate e rampe a piano inclinato che permettevano di trascinare le merci dalle navi fino ai depositi. Nello stesso periodo venne ampliata la Porticus Aemilia, il più vasto edificio commerciale costruito dai Romani
La Porticus Aemilia era un capannone lungo 487 metri e largo 60, con, all'interno, ben 294 pilastri che la suddividevano in sette navate digradanti verso il fiume e 50 navate trasversali. Lo scalo fluviale serviva a scaricare merci di natura alimentare ma anche di altra natura, come zanne di elefante (che sono state ritrovate in grande quantità in un deposito lungo il lato orientale dell'Emporio nel 1885). Qui venivano anche scaricati i marmi che indussero a battezzare questa parte del fiume Ripa Marmorata nei Cataloghi Regionari. Nel 1868 furono rinvenuti proprio qui 1200 blocchi di marmo per lo più grezzi.
Gli horrea si concentrarono nella pianura retrostante il nuovo impianto portuale. A sud dell'Emporio vi erano gli Horrea Lolliana e gli Horrea Galbana, i più importanti della città.
Il Monte Testaccio ha un aspetto quasi triangolare. Il suo attuale perimetro è di circa 700 metri e il monte raggiunge un'altezza di 49 metri sul livello del mare. Esso è costituito da un accumulo, protratto nel tempo, di anfore contenenti olio che, dopo lo svuotamento, venivano sistematicamente spezzate in frammenti. Le anfore olearie non erano riutilizzabili, al contrario di quelle utilizzate per il trasporto di vino, garum, miele e olive, a causa della facile alterazione dei residui di olio.
Le anfore di Testaccio provengono, in gran parte, dalla Betica (Andalusia) e dalla Bizacena (Africa settentrionale). Sono essenzialmente di due tipi: a corpo sferico, capace di contenere fino a 70 chilogrammi di olio per quanto riguarda le anfore iberiche; a corpo cilindrico e pareti più sottili per quel che riguarda le anfore africane.
In epoca augustea i frammenti vennero accumulati ponendovi della calce, destinata a eliminare gli inconvenienti della decomposizione dell'olio. In questo modo i cocci delle anfore si sono conservati ben coesi gli uni agli altri. Sulla formazione del monte vigilavano i curatores, funzionari pubblici che regolamentavano gli scarichi, garantendone la manutenzione e la massima efficienza. Gli accumuli proseguirono per ben 270 anni, da Augusto a Gallieno. I cocci recano, inoltre, preziose iscrizione con il marchio di fabbrica o le note scritte a pennello o a penna. Queste iscrizioni contengono informazioni circa il peso dell'anfora vuota, i tria nomina dei mercatores e il peso del contenuto, oltre al controllo fiscale con il luogo di spedizione, il nome dell'olio e del produttore, la datazione consolare e il nome di chi scrive il controllo.
Calcolando il numero delle anfore, i ricercatori sono giunti a stimare in un consumo, pro capite, annuo, di 22,5 chilogrammi di olio, utilizzato non solo a fini alimentari ma anche nel campo dell'industria, della medicina e dell'illuminazione.
Il Monte venne citato, per la prima volta a proposito della donazione di una vigna "in Testacio" in un'epigrafe dell'VIII secolo d.C., ancora presente nel portico di S. Maria in Cosmedin. Il Monte ebbe il suo momento di gloria durante il Medioevo, quando venne destinato a manifestazioni popolari sia religiose che ricreative.