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Il monte Kenya e una storia del 1943

Creato il 02 dicembre 2012 da Masedomani @ma_se_domani

Sto per mostravi una foto che dura più di cinquanta anni. Lo so, questa va spiegata, ma cominciamo a goderci una delle cime del Monte Kenya.

Il monte Kenya e una storia del 1943

L’immagine è, naturalmente, molto più recente, ma quelle sono le rocce e i colori che Felice Benuzzi, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti ebbero la possibilità di ammirare nel gennaio del 1943. Ma come ci erano finiti tre italiani nel cuore del Kenia in pieno secondo conflitto mondiale?

C’erano finiti proprio da prigionieri di guerra: gli inglesi avevano approntato un campo di prigionia a Nanyuki, proprio ai piedi del monte Kenya, ad oltre ottocento chilometri dal più vicino paese neutrale. Ogni mattina, alla consapevolezza della lontananza da casa si aggiunge uno sguardo che punta sempre lì, ad una coma che i reticolati non possono nascondere. Benuzzi, che oltre a una forza morale d’altri tempi aveva un bel talento per il disegno, anni dopo raffigurò così quella visione.

Il monte Kenya e una storia del 1943

E’ da quelli sguardi lanciati alla cima del monte che nasce una idea folle e bellissima: tentare una fuga non per raggiungere casa – sarebbe stato impossibile – ma per scalare il Monte Kenya. E allora con filo spinato e acciaio recuperato in discarica si creano ramponi, martelli rubati in deposito diventano improvvisate piccozze, le corde che legano le brandine diventano funi. Su una scatoletta di cibo distribuita ai prigionieri c’è una immagine della montagna ripresa dalla sua faccia nascosta al campo, e servirà – incredibile a dirsi – da unica mappa.

Il 24 gennaio 1943 i tre fuggono dal campo. Incontreranno caldo umido e freddo glaciale, elefanti e rinoceronti, fame e febbre. E dopo una scalata durissima, a 4.985 metri una bandiera tricolore inizia a sventolare al freddo vento africano.

Il monte Kenya e una storia del 1943

Non è, naturalmente, finita qui: i tre, stremati ed ammalati, hanno una sola possibilità per sopravvivere. E quindi eccoli rientrare al campo di prigionia, farsi aiutare dai compagni a pulirsi e sbarbarsi, e presentarsi al comandante inglese. “Con l’aria più candida e trionfante lo salutammo: “Good morning”.

I tre italiani fuggitivi vengono condannati a ventotto giorni di cella di isolamento. Ne sconteranno solo sette, e le guardie inglesi che li riempiono di cibo, libri, giornali, sigarette. Quell’avventura piena di dignità, quella fuga che simboleggiava un puro anelito di libertà ha colpito tutti, persino quelli che dovrebbero essere “i nemici”.

La foto a inizio post è stata scattata da Bobby Model, fotografo del National Geographic, che ha ripercorso mezzo secolo dopo le tracce dei tre italiani in un reportage fotografico intitolato “Escape to Mount Kenya”. Io – che sono un inguaribile romantico – non posso fare a meno di pensare che oltreoceano avrebbero tratto un film magnifico da questa storia che ci racconta di libertà e di rispetto, proprio mentre l’uomo dava la sua peggiore dimostrazione di tragica idiozia.


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