L’importanza di chiamarsi Mario è l’importanza di fare le cose normali ma serie. La regola, come tutte le buone regole, ha la sua eccezione – tipo Supermario – che la confermano. La conferma che per noi conta è venuta da Bruxelles dove la “linea Monti” o “linea dei due Mario”, Monti e Draghi, è stata discussa e accettata come cosa utile per tutti: italiani, spagnoli, francesi e insomma tutti gli europei, tedeschi inclusi. Alla Spagna andrà un aiuto di 30 miliardi che eviterà una deriva greca della penisola iberica, mentre la Bce svolgerà il ruolo di agente salva-Stati ed entro la fine dell’anno si realizzerà l’unione bancaria. Ora la parola d’ordine è una sola: “Coraggio”.
A pronunziarla è stato proprio il presidente della banca centrale europea. Del resto, una volta individuata la strada da seguire, non sarebbe da stolti non percorrerla o, peggio, fermarsi a metà strada? Tutta la storia del governo Monti è in fondo una storia di coraggio o, se si vuole, di forza e coraggio. Mario Monti – come si dice – c’ha messo la faccia e lo ha fatto sapendo molto bene che una volta a Palazzo Chigi non avrebbe avuto né una seconda chance né il tempo di abbassare le tasse. La sua missione era quella – lo è tuttora – di salvare l’Italia con il legname a sua disposizione. Lo ha fatto, ha rischiato, ha mosso le cose che poteva muovere, e ora i fatti gli danno ragione tanto in Italia quanto in Europa. Le cose fatte da Monti – i compiti a casa, l’autorevolezza in Europa – sono così importanti e determinanti che contano anche senza Monti. Proprio ieri il presidente del Consiglio ha detto che nel 2013 non sarà della partita: l’esperienza a Palazzo Chigi gli basta e avanza. Tuttavia, se di Monti si potrà fare a meno, del montismo invece no: proprio non se ne potrà fare a meno. Per due motivi: primo perché è già di per sé un capitolo della nostra storia recente e, secondo, perché la strada tracciata dal professor Monti – che ha in sé il riscatto di una categoria un po’ troppo grigia – andrà comunque percorsa. Per dirla con una formula: Monti passa, il montismo resta.
Il montismo, già. Ma, alla fin dei conti, di che pasta è fatto? Di coraggio, certo, si è visto. L’altro elemento, però, è la serietà. Anche ieri, dopo l’Ecofin, il presidente del Consiglio ha dato prova di essere diventato in Europa un punto di riferimento e di equilibrio importante. Le sue analisi e la sua stessa visione delle cose nazionali e continentali hanno trovato riscontro tanto nella realtà delle cose così come sono quanto nella realtà delle cose così come dovrebbero essere. La vulnerabilità del sistema bancario europeo, l’urgenza della vigilanza bancaria, la crisi dell’eurozona e la necessità di rafforzare il “vecchio continente” sul piano economico-finanziario e su quello politico sono i molteplici aspetti di una tela europea che non possiamo permetterci di sfilacciare o di buttare come un panno consunto. Anzi, proprio nel giorno in cui Monti ha annunciato la sua indisponibilità a candidarsi per Palazzo Chigi nel 2013 – «lo escludo» – è bene evidenziare il paradosso della sua “uscita”: la sua politica va continuata e completata con la “revisione della spesa”, i “compiti a casa” e quindi il calo delle tasse. “Pazza idea” sarebbe quella di ripristinare “l’antico regime” con una sorta di controriforma o di congresso di Vienna che ci precipiterebbe in una “selva oscura” che il solo pensiero “rinova la paura”. Monti – ci sia consentito il sorriso – è stato il nostro Virgilio, ma ancora non siamo usciti a riveder le stelle.
tratto da Liberal dell’11 luglio 2012