Magazine Cultura
Accadde in un quieto pomeriggio di primavera del 1977, quando indossai una maglietta bianca con strisce gialloblù e la scritta F.C.I. Torino. Infilai con cura le scarpette chiodate nel fermapedali e strinsi la fibbia; poi, rizzandomi sulla sella, presi lo slancio e mi fiondai in pista. Dopo aver fatto rulli per tutto l'inverno, nel chiuso di una palestra, era giunto il momento di sfidare gli altri ragazzi del gruppo. La pavimentazione in cemento del Motovelodromo era insidiosa - di più: pericolosa -, il rischio di cadere e farsi male assai elevato: nonostante indossassimo i caschetti protettivi, l'istruttore ci proibiva di salire troppo in alto sulle curve sopraelevate. Una volta feci il furbo: credendo di non esser visto, scartai bruscamente all'insù per poi lanciarmi a capofitto sul rettilineo, sorprendendo alle spalle il mio occasionale avversario. Venni beccato in flagrante e spedito a inanellare giri di campo di corsa.
Davanti al Motovelodromo passo quasi tutti i giorni - i miei abitano ancora da quelle parti - e provo tristezza nel vederlo inagibile ormai da decenni. Le antiche tribune in legno appaiono in rovina, la copertura è parzialmente crollata. Uno splendido impianto monumentale in stile liberty, raro esempio di architettura sportiva, posto ai piedi della collina in riva al Po, sta subendo un degrado irreversibile. Non se ne farà un supermercato, come si paventava, potrebbe essere dato in concessione a privati per attività commerciali. In ogni caso, il suo mantenimento non è più economicamente sostenibile. Un pezzo di città e di storia che sta scomparendo.