Freddie Sikes: Perché ti porti dietro un rudere come me?
Pike Bishop: Abbiamo cominciato insieme e insieme finiremo.
Freddie Sikes: Anch’io la penso così, e così concepisco l’amicizia.
“Tutti sognano di tornare bambini, anche i peggiori fra noi. Forse i peggiori lo sognano più di tutti.” (Angel)
Un gruppo di banditi che ha fatto il suo tempo, guidati da Pike Bishop, dopo aver rapinato una banca ed essere scampati ad un’imboscata, fuggono in Messico inseguiti da un manipolo di cacciatori di taglie al comando di un ex componente della banda, Deke Thorton. Giunti oltre frontiera, i sei superstiti del “mucchio selvaggio” si ritrovano nel pieno della rivoluzione messicana e per far soldi rubano un carico di armi per conto del generale Mapache che guida i suoi contro i rivoluzionari di Pancho Villa. Il colpo riesce ma Angel, un giovane messicano facente parte della banda di Pike che ha rubato una cassa di armi per rifornire il suo villaggio che sostiene i rivoluzionari, viene scoperto da Mapache e ucciso. Questo scatenerà però la vendetta del “mucchio selvaggio” e una tragica sparatoria finale.
The Wild Bunch è il capolavoro riconosciuto di Sam Peckinpah. Girato nel 1969 in Messico, si tratta sicuramente di uno dei film più importanti della cinematografia western, avendo contribuito a fare da definitivo spartiacque in questo genere specifico. La pellicola diretta da Peckinpah infatti, si ambienta tra gli Usa e il Messico nel 1914, durante la rivoluzione di Pancho Villa, quando il mito della frontiera è già morto e sepolto, i pellirossa sono un lontano ricordo e nell’Ovest si aggirano bande come quella di Pike Bishop (interpretato dal grande William Holden) spiazzata dalla fine del loro vecchio e violento mondo e incapaci di adattarsi ai cambiamenti della società.
Nel cinema raccontato da Peckinpah non ci sono buoni o cattivi. In particolare, non ci sono i cowboy senza macchia descritti nel western classico, ma solo dei banditi. E tanto meno c’è giustizia o qualcuno che garantisca la legge. I componenti del “mucchio selvaggio”, guidato da Bishop, sono dei fuorilegge disposti a tutto certo, ma che dire dei loro inseguitori, i cacciatori di taglie assoldati dal potente di turno, che come avvoltoi si fondano sulle loro prede per qualche pugno di dollari? Anche il più accorto di loro, Thorton (Robert Ryan) è stato a sua volta un vecchio componente della banda che, catturato è poi passato al soldo del nemico per non tornare in cella. D’altra parte al di là del confine le cose non vanno meglio viste le angherie del generale Mapache che guida i suoi soldati contro i villaggi dei nativi e i rivoluzionari.
E’ un panorama desolante, in cui alla fine non ci sono vincitori né vinti. La banda è perdente in partenza: il loro colpo alla banca è praticamente andato a vuoto oltre che per l’imboscata e la sparatoria che ne ha decimato il numero, anche perché al posto di monete nei sacchi trovano solo anelli di ferro. La sparatoria finale poi è una carneficina, del resto i quattro banditi rimasti – Pike, Dutch (Ernest Borgnine) e i fratelli Gorch (Warren Oates e Ben Johnson) – forse sentono che Agua Verde (la cittadella messicana in cui bivaccano i soldati di Mapache) è la loro ultima tappa, tanto più dopo la barbara uccisione di Angel (Jaime Sanchez). E’ a quel punto che esce fuori qualche sentimento che in parte riscatta questi uomini avviati al loro tramonto. Non solo la cruda vendetta, ma la lealtà verso il loro compagno, il senso di appartenenza ad un gruppo fino alla morte. Un tema che peraltro viene accennato anche precedentemente, quando Pike ribadisce in più occasioni che “abbiamo cominciato insieme e insieme finiremo”, e in una di queste il vecchio Sykes (Edmond O’Brien) aggiunge “anch’io la penso così, e così concepisco l’amicizia”.
Western crepuscolare, dai toni disincantati e amari, Il mucchio selvaggio è un’opera simbolo di un’epoca che fa i conti con la realtà, in modo simile ad altre pellicole di quel periodo come il filone degli Spaghetti-western o Butch Cassidy, uscito peraltro nello stesso anno. Se però il film di Roy Hill è predominato da toni più spensierati – per quanto drammatici nel finale – nella storia narrata da Peckinpah c’è molto più cinismo e violenza. Proprio quest’ultimo elemento fu usato senza esclusione di colpi, in particolare nell’ultimo memorabile scontro a fuoco, suscitando parecchie polemiche quando il film uscì nelle sale. Del resto il crudo realismo, i dettagli degli effetti che i proiettili provocano colpendo il corpo umano, il sangue che sgorga, le vittime di tutti i tipi, compresi donne e bambini, contribuiscono a rendere vigorosa la pellicola, grazie anche al montaggio serrato e alle scene in slow-motion (ralenti) cui fa uso il regista nelle ultime scene.
Tra i numeri da segnalare per quanto riguarda il film, i 90.000 proiettili utilizzati e le 3.643 inquadrature realizzate nella versione originale. Per anni è stata proposta una versione ridotta (134 minuti) rispetto alla director’s cut (145 minuti), riproposta al pubblico degli Stati Uniti solo nel 1982 e distribuita negli anni Novanta in home video nel resto del mondo (anche se tutt’ora capita che venga proposta in commercio l’edizione più breve).
Nonostante il crudo e disincantato realismo che caratterizza il film, non mancano scene più calme, pervase da malinconia e romanticismo. Temi che insieme contraddistinguono una pellicola in cui non ci sono eroi positivi o vincitori – se non gli abitanti del villaggio messicano che resiste all’oppressore – ma in cui tuttavia c’è spazio per l’amicizia virile e la lealtà fino alla morte, due ideali cari a Peckinpah. Un regista la cui filmografia è un percorso obbligato per chi voglia ripercorrere la storia del genere western, perché ha contribuito a rivoluzionarlo, come fecero in quegli anni altri registi americani e non (Sergio Leone, Arthur Penn e il già citato Roy Hill).
Titolo originale: The Wild Bunch
Anno: 1969
Paese: USA
Durata: 134 (145 director’s cut)
Colore: Colore
Genere: Western
Regista: Sam Peckinpah
Cast: William Holden; Ernest Borgnine; Robert Ryan; Edmond O’Brien; Warren Oates; Ben Johnson; Jaime Sanchez.
Valutazione: 4 e 1/2 su 5 – Ottimo
Luca Paccusse