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Il museo dell’innocenza di Orhan Pamuk

Creato il 31 agosto 2012 da Tiziana Zita @Cletterarie

Il museo dell’innocenza di Orhan PamukDico subito che l’ho interrotto a pagina 336 perché non ne potevo più.
Mi rendo conto che non è simpatico dire una cosa del genere di un Premio Nobel, ma questo romanzo morboso e lunghissimo è immobile proprio come il museo di cui parla. Immaginate un libro che racconti di oggetti quotidiani insignificanti, che li descriva e ci spieghi le circostanze, anche quelle ordinarie, in cui il protagonista feticista li ha presi per collezionarli.
Il romanzo narra la storia di un uomo di trent’anni che ha tutto quello che si possa desiderare: è ricco, bello e colto e sta per sposarsi con una donna bellissima, ricca e colta anche lei. Si inizia con il loro sfarzoso fidanzamento, sullo sfondo di una Istanbul affascinante, nell’anno 1975.
Il trentenne va a comprare una borsa in regalo alla sua fidanzata e nella boutique incontra una lontana parente diciottenne e bellissima: ha pure partecipato a un concorso di bellezza. La ragazza fa la commessa e intanto studia. Con una scusa lui l’attira in una sua casa che viene usata come una specie di deposito e lì i due fanno l’amore e diventano amanti.

Si vedono quasi quotidianamente e fanno un ottimo sesso. Lui però non ha il

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coraggio di cambiare la sua vita e mandare a monte il fidanzamento per l’amore di una commessa, perciò porta avanti le due relazioni parallelamente. Ma dopo il fidanzamento ufficiale, la ragazza sparisce e lui, che contava di tenersela come amante, dà i numeri. Cade in uno stato depressivo in cui gli pare che niente più nella sua vita abbia senso. Comincia a bere e non combina niente di buono.

«L’unica cosa che rende questo dolore sopportabile è possedere un oggetto, retaggio di quell’attimo prezioso. Gli oggetti che sopravvivono a quei momenti felici conservano i ricordi, i colori, l’odore e l’impressione di quegli attimi con maggiore fedeltà di quanto facciano le persone che ci procurarono quella felicità».

Dunque colleziona oggetti e li accumula nella casa in cui s’incontrava con l’amante. La sua fidanzata, che è molto innamorata di lui, fa di tutto per aiutarlo, regge al fatto che lui non riesce più a fare l’amore con lei e per stargli dietro diventa mezza alcolizzata. Regge persino all’urto della confessione, quando lui le dice della relazione con la commessa aspirante miss. Ma non c’è niente da fare, lui si crogiola nel suo stato e nel suo immobilismo, senza mai decidere niente, finché lei non ne può più e lo lascia.

Il museo dell’innocenza di Orhan Pamuk
In tutto questo tempo, lui continua a cercare la sua amata in fuga e quando lei finalmente riappare e lo invita a casa, oltre ai suoi genitori c’è anche suo marito: ha sposato un tipo grassottello che aspira a diventare regista. Allora lui comincia a frequentare la loro casa, illudendoli che vuole produrre un film di cui il marito sia il regista e lei l’attrice, mentre il suo piano segreto è riconquistarla, fare in modo che lasci il marito e si metta con lui.
Perciò va a cena a casa loro tutte le sere. Per otto anni. Ma non succede niente: lui si limita a descrivere il suo stato d’animo, il più delle volte irritato e umiliato, ma anche felice se per caso lei gli ha detto una frase gentile. Il protagonista descrive il suo delirio e ci preannuncia che durerà otto anni. Che succederà dopo questi otto anni?
Non lo so perché dopo un po’ di queste seratine in cui cenano a casa mentre guardano la tv, oppure al ristorante, e l’unica cosa che succede sono gli stati d’animo del protagonista che spreca la sua vita in questo modo insulso, l’ho abbandonato anch’io come la sua fidanzata.

Questo sarebbe l’amore? Questa sarebbe la sofferenza amorosa, come vorrebbe farci credere il protagonista?
No, non ci credo. Questo stato morboso in cui lui è spettatore della vita degli altri non c’entra con l’amore. Dov’è il confine tra un amore romantico e malinconico e un atteggiamento ossessivo che si avvita sempre più su se stesso?
Non si riesce a provare simpatia per questo protagonista viziato e mezzo alcolizzato che ha tutto e vuole solo quello che non può avere, probabilmente proprio perché non può averlo.

Il museo dell’innocenza di Orhan Pamuk
Visto che leggere è il modo migliore per viaggiare, dovendo passare un week-end a Istanbul avevo cominciato Il museo dell’innocenza per prepararmi alla città. Mi sono imbarcata nel libro prima ancora di partire e forse Istanbul è la cosa che vi è meglio rappresentata. Devo ammettere che il romanzo parte bene, ma nella parte centrale diventa di una noia mortale.
Pamuk ha avuto il premio Nobel per la letteratura nel 2006 e questo romanzo, che è del 2008, non lo aveva ancora scritto. Immagino che non sia il suo migliore.
Ieri in una libreria, parlavo con una coppia di appassionati lettori tedeschi. Ci raccontavamo i nostri romanzi preferiti. Lei mi ha indicato due libri di Marquez (altro Nobel per la letteratura), dicendomi che erano i suoi due migliori. Parlava con cognizione di causa perché ha letto tutti i suoi libri. Si tratta di Cent’anni di solitudine e di L’amore ai tempi del colera: altra storia d’amore che dura tutta la vita, ma che ha tutt’altra ricchezza.
Non voglio dire che se Pamuk avesse scritto prima Il museo dell’innocenza non gli avrebbero dato il Nobel, ma che anche i grandi scrittori non scrivono solo capolavori (a parte rare eccezioni). Perciò mi chiedo: non sarà che i geni della letteratura hanno a disposizione solo un paio di romanzi straordinari, mentre sul resto si può soprassedere?


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