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Il nano di Geova – di Iannozzi Giuseppe aka King Lear

Creato il 03 febbraio 2012 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Il nano di Geova – di Iannozzi Giuseppe aka King LearIl nano di Geova

di Iannozzi Giuseppe aka King Lear

da Racconti di Giganti e Nani

Il nano di Geova – di Iannozzi Giuseppe aka King Lear

L’altro giorno ero giù in strada con un diavolo per capello, perso nei miei pensieri. Di tanto in tanto mi tiravo la barba, insoddisfatto come se uno spiritello maligno avesse preso casa nel cuore del mio petto. Il cielo era d’una limpidezza assurda per la stagione ancora invernale, e dalle Alpi solo brevi aliti di vento mi carezzavano il corpo, per finire subito sepolti nel gorgo di parole dei tanti sul marciapiede, chi impegnato a spaccare la faccia a un amico, chi occupato a fare la concione alla propria ragazza chiamandola con epiteti non riferibili, chi a pisciare e chi invece a cagare alla turca in un tombino ombroso. Ero dunque un po’ giù di morale, pronto a invocare gli Dèi dell’Olimpo, quando un testimone di Geova, basso e tarchiato – un nano o giù di lì, poco ma sicuro – mi si fece dappresso squadernando un sorriso a trentadue denti. Lungo la schiena m’è corso un brivido freddo, di autentico terrore: ho subito pensato, “Se questo mo’ prende a parlare non lo ferma manco un fulmine a ciel sereno, porco diavolo!”. Ero più che deciso a tirar dritto, ma quel diavolo d’un nano s’era attaccato alle mie chiappe e non gli passava proprio per la capa d’aver preso un granchio, o perlomeno non voleva accettare la realtà; eppure gli sarebbe bastato darmi un’altra occhiata, una più attenta, per rendersi conto che non ero proprio il suo tipo! Ma non lo fece.
Si limitò, si fa per dire, a portarsi davanti ai miei passi arrestando così il mio libero cammino. Esordì dicendo le solite frasi di rito, cercando di rifilarmi depliant e giornaletti. Glieli lasciai in mano. A quel punto anche un idiota fatto e con la scimmia sulle spalle avrebbe capito che non era il caso di rompere le scatole a un pezzo di merda come me. Il testimone nano si aggrappò alla mia cravatta, con una confidenza maligna e biasciò minaccioso: “La fine del mondo è vicina, pentiti… pentiti finché sei in tempo… Gesù avrà cura di te…”. Lo afferrai per il polso, con forza perché volevo fargli male sul serio, almeno quel tanto necessario affinché portasse lontano da me le sue chiappe grassottelle. Ma quello non fece una piega. Vidi rosso e senza starci a pensare su, strinsi con la mano il polso alieno. Chiunque le abbia viste le mie mani sa bene che sembrano badili; i più carini dicono che sono mani da pianista. Sia come sia, sentii netto un crack di ossa spezzarsi. Lasciai dunque la presa. Il nano di Geova continuava a sorridere. Si sfregò il polso per un paio di secondi appena, poi si cacciò la mano in tasca e un momento dopo era ancora di fronte a me che bello bello scartava una caramella puzzolente all’anice. Fece persino il gesto di offrirmene una. Gli dissi di no con un cenno del capo. Inutile: mi aveva schiaffato in mano caramella, depliant e giornaletti. Porco Diavolo! Senza mai perdere il sorriso, felice come una pasqua, con tono di voce baldanzoso, mi assicurò che non gli dovevo niente, non un Euro.
Sospirai.
Forse chiusi gli occhi per meno d’un secondo.
Era sparito.
Non c’era più il maledetto e in strada c’ero sol più io, non un bambino non una donna non un vecchio del cazzo. Capii che diceva il vero, la fine del mondo era alle porte, ma la cosa non mi preoccupava. Scartai la caramella, che non era all’anice come avevo creduto in un primo momento, e me la ficcai in bocca: all’aglio. Davvero buona. Mi strappai poi la parrucca alla Hendrix dalla testa e la gettai addosso a un topo che attraversava sulle strisce pedonali zigzagando di brutto però, manco c’avesse l’Alzheimer. Pian pianino con il sole a picchiarmi forte sulla pelata e le mani in tasca m’incamminai verso casa.

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