Stavolta però voglio scrivere un post diverso dagli altri, perché desidero condividere la felicità per la pubblicazione del mio primo lavoro: le poesie di James Clerk Maxwell. Diciamo che l'uscita proprio nel mese di dicembre di questo volume è stato un gran bel regalo di Natale. È infatti dal mese di maggio che con un'altra ragazza, Erika Serra, ho iniziato a lavorare alla traduzione di queste poesie per uno stage post laurea presso l'Archivio Dedalus di Milano. È stato un lavoro duro, a tratti faticoso ed estenuante, ma il risultato mi ha dato enorme soddisfazione.
Copertina del libro
Di solito il nome di Maxwell si ricorda per ben altri motivi. Chi ha studiato un minimo di fisica ricorderà sicuramente il suo nome, poiché James Clerk Maxwell è stato uno dei primi scienziati a compiere degli studi importantissimi sull'elettricità e il magnetismo, dimostrando che i due fenomeni sono connessi tra di loro. Inoltre, Maxwell ha collegato alla teoria dell'elettromagnetismo anche il fenomeno della luce. Tutto questo lavoro è sfociato nelle quattro celebri equazioni di Maxwell, che hanno unito per la prima volta nella storia della fisica tutti i fenomeni elettrici, magnetici e luminosi.
Pochi però sanno che questo luminare della fisica si dilettava a scrivere poesie. E sicuramente ne traeva enorme piacere, vista la cura nelle rime e nei giochi di parole. Questi componimenti sono di ogni tipo: poesie d'occasione, filastrocche, poesie oniriche e di argomento scientifico. La varietà dei suoi scritti riflette la molteplicità dei suoi interessi, sia in campo scientifico, sia umanistico. Maxwell ha trasposto in versi degli esperimenti e delle teorie scientifiche, e anche parte del proprio universo interiore, come tutti i veri poeti. Il fisico parla spesso dell'ambiente accademico, talvolta con benevolenza, ma molte altre criticando la rigidità dei suoi membri. Secondo Maxwell troppe volte i sedicenti scienziati vogliono racchiudere il mondo in aride leggi matematiche, sperando di trovare in una formula vuota la soluzione di tutto. Ma il fisico scozzese si rifiutava di pensare che in tal modo si potesse comprendere tutto. Anzi, per lui la saggezza si acquisiva solo dopo che si era disposti a lasciar perdere la ragione, la logica, la matematica, e a farsi trasportare dal nonsense. Perché il mondo che ci circonda è troppo grande per essere compreso in maniera definitiva dalle leggi scientifiche. Per Maxwell il mondo NON può essere costituito solo da leggi fisiche, e chi non è disposto a fermarsi alla contemplazione del mistero e del trascendente che pervade la realtà rimane un ignorante che pensa di sapere tutto, quando invece non sa nulla.
Era uno scienziato molto particolare, Maxwell, uno scienziato con una fede profonda. L'idea del trascendente compare spesso nelle sue poesie, senza contrapporsi all'indiscutibile indole scientifica del fisico. Questo mistero, questa idea del trascendente si può collegare forse anche al nonsense di cui egli parla. La scienza, senza la consapevolezza che comunque non si arriverà a spiegare tutto, non è vera scienza. Perché la scienza acquisisce valore solo quando si riesce a capire che bisogna farsi trasportare e a farsi penetrare da questo mistero, da questo nonsense per avvicinarsi alla realtà, per capirla veramente. In quest'uomo, fede e scientificità non solo si conciliano in un modo che per noi oggi appare impensabile, ma diventano l'una indispensabile all'altra nella conoscenza progressiva del mondo e delle leggi che lo governano.
James Clerk Maxwell
Oltre all'amato-odiato ambiente accademico, Maxwell rende protagonista di alcuni scritti anche la propria terra natale, la Scozia. In diversi componimenti si nota l'amore per la patria di Maxwell, che sovente inserisce dei termini scozzesi o, addirittura, scrive intere poesie in Scots. Visto che in questo blog mi occupo di miti, storia e leggende, vorrei riportare uno di quei componimenti che parla di un pezzo di storia della Scozia.
Siamo intorno all'anno 242 d. C., quando il nobile Nathalocus prese il potere e diventò il trentesimo re di Scozia dopo aver capitanato la congiura che aveva deposto il sovrano precedente, Athirco. Costui, dopo un primo periodo in cui godette del favore dei sudditi, con l'età si diede a una vita sregolata e piena di vizi, che suscitarono la rabbia di molti nobili tra cui Nathalocus, la cui figlia venne violentata da Athirco. Tuttavia, Nathalocus non si rivelò un governatore migliore di Athirco. Nonostante fosse a capo della cospirazione che depose il precedente sovrano, Nathalocus era inviso a molti nobili. Consapevole di ciò, egli nominò come ministri dei membri della plebe, che erano più inclini all'obbedienza rispetto ai nobili. Inoltre, quando seppe che il fratello e i figli di Athirco, fuggiti durante la rivolta, mantenevano contatti epistolari con alcuni membri dell'aristocrazia, egli convocò in consiglio gli uomini sospettati, fingendo di aver bisogno di loro per deliberare sulle sorti del regno. Quando questi arrivarono al suo cospetto, li fece imprigionare e la notte stessa i malcapitati vennero strangolati. Questa condotta, anziché placarli, fomentò i focolai di ribellione che già erano presenti alla corte di Nathalocus. Tutti temevano che i sospetti del sovrano si riversassero contro i propri cari, così presero le armi contro il nuovo re, che morì colpito proprio da uno dei domestici. La poesia di Maxwell narra proprio l'uccisione di Nathalocus, episodio sul quale venne costruita la leggenda narrata nel componimento. Sapendo di trovarsi in un momento delicato, Nathalocus mandò uno dei propri servi a interrogare una veggente riguardo alle sorti del proprio regno. La strega rivelò al servo una verità sconcertante: la vita di Nathalocus non sarebbe durata a lungo e sarebbe stato proprio il servo a spezzarla. Riporto qui il testo tradotto in italiano della poesia di Maxwell, senza le note a pié pagina.
(NATHALOCUS) [1845]
I
DESOLATO era il sentiero e arida la montagna,
Mentre il viaggiatore passava nel suo faticoso cammino;
Sigillato dal ghiaccio era ogni zampillo d’acqua mormorante,
E il sole brillava attraverso la nebbia con il raggio color sangue.
Ma né la strada né il pericolo messi insieme
Intaccavano il suo proposito, nemmeno il tempo inclemente;
Così andò avanti il viandante attraverso la fitta erica,
Finché arrivò alla grotta dimora delle terribili streghe.
II
Scavata nella roccia era quella caverna tanto squallida,
E l’entrata da arbusti era celata alla vista,
Ma egli trovò il modo di entrare e, stanco per il viaggio,
Con gioia scorse nell’oscurità una luce.E in un recesso di quella straordinaria abitazione,
Udì sempre più forte e selvaggio levarsi lo strano canto della strega,
Che senza sosta con magici numeri raccontava
Le sorti dei regni, l’esito della battaglia.
III
Si levò la strega appena il viaggiatore entrò,
“Benvenuto”, disse, “e quali nuove dal re;
e perché a domandare di me si è così azzardato,
quando sa che la risposta porterà distruzione?
Siediti qui e aspetta”. Allora volgendo il pallido viso
Là dove nell’oscurità bruciava il debole lume,
Prese un libro della sua sapienza magica,
E con numeri profetici si preparò a cantare.
IV
Ora è seduta, la tenda è sopra di lei,
La divinità è su di lei; aspetta perciò e odi!
Il vapore si alza in volute davanti a lei,
E nell’oscurità appaiono le forme del futuro.
Ascolta, ora la divinità sta portando l’ispirazione,
Non è sua la voce che nella caverna risuona;
No, poiché è il suo demone che sta intonando la canzone,
E queste furono le parole della veggente che rende folli.
V
“Schiavo del monarca, torna dal tuo signore,
All’orecchio di Nathalocus sussurra queste parole;
Digli, da parte mia, che il Tempo Andato può volare più veloce
Di quanto [egli] pensi, giacché l’ora della sua morte è vicina;
Alludi al suo fato con il dovuto mistero,
Ma non fargli sapere attraverso chi sarà compiuto”;
“Dimmelo, spregevole strega, o ti giuro che te ne pentirai!”
“Sei tu l’assassino”, rispose la veggente.
VI
“Sarei talmente cane da compiere una simile azione!”
Rispose il condottiero mentre la rabbia in lui montava,
“Potrei io, ingrato, essere alla testa di una fazione,
E dirmi uno dei nemici di Nathalocus?”
“Basta”, disse la strega, “l’incantesimo è terminato,
Non sfido la rabbia del demone offeso,
Qualunque sia il tuo destino, non più lo si può cambiare”.
Così lo straniero prese la via del ritorno attraverso la fitta neve.
VII
Dall’alto del suo nido l’aquila gridava,
Pallidi spettri avvolti in un lenzuolo si aggiravano nella brughiera;
Brillante negli occhi della sua mente un pugnale luccicava,
Aspettando il momento di spuntare dal fodero.
Rauco gracchiò il corvo che volava verso est;
Doveva certo sapere del re morente;
Giù nel fiume il Kelpie gemeva,Piangendo il re nella profondità delle acque.
VIII
La sua mente era confusa per questo terribile avvertimento,
Spettri orribili furono con lui tutta la notte;
Pietrificato nel suo dolore desiderava la mattina,
Maledicendo il giorno in cui per la prima volta aveva visto la luce.
Nel suo delirio disse, “il giorno che mi partorì,
Meglio sarebbe stato se mia madre a pezzi mi avesse fatto;
Guarda, c’è il corpo di Nathalocus davanti a me;
Via, ombre vane, sparite alla mia vista!”
IX
E quando dal palazzo il re lo mandò a chiamare,
Per sentire quale responso portasse dalla strega;
Quando il messaggero pensò che lo straniero lo avrebbe salutato,
Non gli rivolse altro che uno sguardo inespressivo.
Sul suo viso vi era un sorriso, ma non di gioia,
Poiché in lui non vi era altro che inconsolabile tristezza.
E nei suoi occhi c’era il bagliore torvo della pazzia, –
“Nella camera privata del re, gli risponderò lì”.
X
“Ditemi, mio sovrano, ho forse mai disubbidito;
Sono mai stato sorpreso fuori dal mio posto;
Non vi ho servito fedelmente, lealmente,
Nonostante il pericolo e la morte mi guardassero dritto in faccia?
Sono forse stato visto fuggire dal nemico,
Ho forse mancato nel più aspro tra i pericoli?
Oh, se l’ho fatto, giudicatemi degno di morte,
Mi si copra di vergogna e disgrazia!
XI
“Potreste immaginare che potrei tradirvi,
Io, che sono stato benedetto dalla vostra bontà e amicizia?
Ma il responso della strega fu che la mia mano vi avrebbe ucciso,
È questo che per lungo tempo mi ha privato del riposo,
È da allora che il mio sonno si è rotto,
Ma vere sono le parole che la profetessa ha pronunciato,
Nathalocus, eccone la prova”,
Così dicendo affondò il pugnale nel suo petto.
Un'atmosfera lugubre, il paesaggio desolato e freddo della Scozia. La magia di questa terra, abitata da streghe e demoni, come il citato kelpie, che ne infesta i laghi e i fiumi e che si presenta spesso nella forma di un cavallo nero. La storia antica e il folklore della patria natia stavano estremamente a cuore a quell'uomo che ben più del fisico e dello scienziato che conosciamo.
Maxwell, oltre a rappresentare il mio primo lavoro di cui vado fiera (è la prima traduzione in italiano, nonché il primo volume italiano che raccoglie le sue poesie) mi ha ricordato quanto complesso è l'essere umano. Che se anche si crede nella scienza e si lavora sull'elettromagnetismo, non è detto che non si possa scrivere poesie e credere in Dio. Fisico, poeta, umorista, accademico, filosofo, patriottico. Insomma, uomo. Questo era James Clerk Maxwell.
Fonti:- MAXWELL, James Clerk, Poesie (1844-1878), traduzione a cura di Greta Fogliani ed Erika Serra, Edizioni Archivio Dedalus, Milano, 2012;- WATKINS, John, The History of Scotland Translated from Latin of George Buchanan, Henry Fisher and P. Jackson, London, 1831, pp. 82-83.