di Salvatore Daniele. Nell’ Odissea, poema del mare, all’eroe tocca fare esperienza del naufragio e del dovere la propria salvezza ad una fanciulla. Poco importa se, per le esigenze della fiaba, ella sia la figlia del re. Non con le rituali nozze, infatti, si concluderà l’incontro fra Odisseo e Nausicaa, ma con un più realistico addio: un episodio molto breve del poema, ma denso di umano significato.
Odisseo, naufrago nella terra dei Feaci, è stato qui accolto come ospite. Rifocillato, lavato e rivestito, è stato restituito alla sua dignità umana. Ricchi doni gli sono stati offerti e gli è stato garantito l’aiuto per ritornare nella sua terra e dalla sua famiglia, per cui soffre di nostalgia: il dolore (algos) per un ritorno (nostos) troppo a lungo mancato. Ora sta per prendere congedo dai suoi benefattori ed è atteso nel megaron. Qui, dove arde il focolare e si banchetta, è il microcosmo della comunità, il luogo della rappresentazione dell’ordine etico e civile dove Odisseo è riammesso nella pienezza del suo status. Ma prima deve saldare il suo debito con colei che, come una seconda madre, gli ha ridato la vita ed ha permesso il suo reintegro nell’umana comunità, Nausicaa. Ella lo attende all’ingresso del megaron, dove non può entrare perché nubile fanciulla. “Ma Nausicaa, alla quale gli dei donano bellezza, si ferma allora accanto al pilastro del tetto saldamente costruito.” Davanti ad Odisseo splende la bellezza della giovane donna, dono degli dei, vera bellezza, fisica e morale insieme, che trapassa da una dimensione all’altra. Ma anche Nausicaa “guardava con ammirazione Odisseo fissandolo con gli occhi e, avendo cominciato a parlare, gli rivolgeva parole alate”. Lungo dovrà essere il volo delle parole di Nausicaa, affinché accompagnino Odisseo nel suo ritorno in patria. “Abbi fortuna e sii felice, forestiero e ospite”: in greco un’unica parola, xenos, indica lo straniero e l’ospite, perché ricevere ospitalità è un diritto, sul quale vegliano gli dei, di chiunque giunga da fuori, qualunque sia la sua identità, tale da creare legami ereditari che vanno al di là della pace e della guerra; “affinché anche quando vivrai allora nella terra dei tuoi padri , curi il mio ricordo, perché a me per prima devi la mercede (zoagria) per la salvezza della vita.” Nausicaa chiede ad Odisseo, il naufrago, di rendere con la rinnovata vita presente testimonianza della propria vicenda umana di caduta e di salvezza, di dolore e di ritrovata fortuna. Nausicaa, rispettando la legge divina ed umana, etica e civile, ha permesso la salvezza di Odisseo: la ricompensa (zoagria) che le spetta è il ricordo, monumentum, nel pensiero e nelle parole, affinché gli uomini riflettano e capiscano.
“L’ospite ed il supplice sono come un fratello per l’uomo che pur poco sfiori il senno.” (VIII, 546-7): così afferma l’epos, in attesa che un’altra Parola risuoni forte nel mondo.
( zoagria è un termine tecnico che i traduttori omettono ma che, a mio avviso, è essenziale per comprendere il significato dell’episodio).
Featured image, testa di Ulisse.
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