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Parlare del nemico, oggi, è un argomento di grande attualità: ovunque rivolgiamo lo sguardo assistiamo impotenti allo scontro aperto e frontale tra fazioni, popoli, razze, ideologie e gruppi contrapposti.
Al di là delle letture che si possono avanzare a più livelli, sociologiche, politiche, economiche o altro, ciò che appare con chiarezza, è la dinamica psicologica che ne è alla base: lo scontro, l’opposizione estrema e l’inconciliabilità tra due elementi diversi, nettamente separati e contrapposti.
Non diversa è la dinamica che si dà nel singolo individuo che, cristallizzando unilateralmente la propria identità nell’Io cosciente, vale a dire nell’immagine di sè conosciuta ed accettata, sperimenta gli altri aspetti della personalità globale come qualcosa di esterno.
Il mancato riconoscimento in sè di parti inconsce (ombrose, spiacevoli o comunque in conflitto con l’Io cosciente) dà luogo alla “proiezione” e alla nascita dell’Altro da sè che, quale nemico “fuori” si assume, ai nostri occhi ingenui, la responsabilità e la causa di tutto ciò che non va bene, fa soffrire e crea un vissuto di lacerazione.
In questa modalità esistenziale, peraltro molto comune, che si può definire oggettivante o pre-dialettica, cresce e si rafforza allora il bisogno di avere un nemico che possa giustificare il proprio sentimento di impotenza, e che possa detenere, in modo rigido, definitivo, e apparentemente liberatorio, la colpa.
Ma il sistema psichico, inteso come totalità energetica comprensiva di coscienza ed inconscio, necessita, per la sua stessa evoluzione, di un’interazione costante tra le due istanze, per cui, laddove una parte (l’inconscio) resta inascoltata, alienata e rimossa, per una legge di compensazione, tende ad irrompere nell’altra parte, cioè nella coscienza, in modo coatto e con effetti molto violenti, tanto più devastanti e immediati quanto più è tenuta nascosta.
Ed ecco allora il ritorno all’orda primitiva che si consuma in tutti quegli spaventosi episodi di cronaca di cui, purtroppo, siamo testimoni: scontri razziali, politici, religiosi.
Eventi questi che, più che farmi pensare all’animalità, che è solo istinto – e l’uomo, si sa, non è più solo istinto- o alla primitività che, pur lontana da quello stato che noi oggi chiamiamo coscienza, conserva, peraltro, il carattere sacro della vita tutta, mi rimanda ad un obnubilamento della coscienza, una coscienza tanto grande quanto è l’Ombra sottostante non vista.
La coscienza umana ha origini assai recenti rispetto all’inconscio collettivo che, quale fondamento e matrice della coscienza stessa, rappresenta un insieme di contenuti dotati di una profonda conoscenza universale.
I simboli archetipici sono un prodotto della mente umana per esprimere, da sempre, contenuti profondi e universali o verità eterne che compaiono tuttora in molte religioni.
Essi, pur trasformandosi nel corso dell’evoluzione, continuano a possedere una grande forza numinosa e sono indispensabili all’uomo che può espandere e stabilizzare la sua fragile funzione coscienziale grazie all’incontro dialettico tra le due fondamentali istanze psichiche o, per dirla in altri termini, grazie al riconoscimento e all’accettazione della contraddittorietà della vita stessa.
La conflittualità è caratteristica dell’uomo non solo tra il suo mondo interno ed il mondo esterno, ma anche quale presenza inevitabile, e inscindibile dalla vita stessa, nell’ambito dell’individuo stesso, tra le sue varie parti interne: sono le tante “voci” interiori.
Tornando alla dinamica dell’opposizione che sta alla base di ogni conflitto, sia esso interiore o esteriorizzato su un oggetto empirico, è fondamentale riconoscere che la tensione generata dal conflitto, se il soggetto non cede alla tentazione di liberarsene velocemente, porta al superamento dell’opposizione.
Il raggiungimento di questo immaginario terzo punto, elemento di sintesi dialettica tra coscienza e inconscio, rappresenta una provvisoria conquista coscienziale nel movimento evolutivo che consente la soggettivizzazione.
Il “viaggio dell’eroe”, così come viene espresso nei miti, nelle cosmogonie, nelle fiabe, nelle religioni e nelle tradizioni di molte culture, è il rituffarsi della coscienza nell’inconscio. Simbolicamente rappresenta il percorso evolutivo umano che può procedere e compattarsi solo ritornando, ogni volta, a quella stessa dimensione informe ed inglobante dalla quale, con tanta fatica, la coscienza è emersa. Il ritorno dell’eroe nel mondo, dopo aver superato prove ai limiti della sopravvivenza, porta all’umanità il “tesoro” di nuove possibilità esistenziali e nuova consapevolezza.
In quest’ottica l’Altro rivela finalmente il suo aspetto nascosto di alleato buono, perdendo quelle prerogative che lo rendevano ostile, indesiderato e generatore di continue sofferenze; necessario in quanto capace di mettere in evidenza il limite e, proprio in virtù di questo, si pone quale stimolo al superamento della posizione coscienziale fin lì raggiunta.
In una lettura dialettica il nemico diventa utile poichè ci costringe a compiere un salto che, altrimenti, non faremmo. Tornare ad abbracciare l’inconscio, sia esso incarnato in un lato d’Ombra personale, sia esso lo straniero, il diverso, l’ignoto o il nemico-antagonista, richiede sempre un atto di umiltà e di sottomissione da parte dell’Io che vorrebbe sempre controllare ed appropriarsi della realtà.
Il riconoscimento della propria realtà interiore, accanto ad un riconoscimento della realtà esteriore, relativizza sia il bene che il male trasformando entrambi nelle due metà di un contrasto i cui termini formano un tutto paradossale.
Dovremmo imparare a fare i conti con il Male perchè oggi la coscienza è in grado di “com-prendere” che le cose che vediamo fuori sono le stesse che abbiamo dentro e che la realtà, vista e vissuta attraverso le sole immagini esterne è un’illusione.
Laura Ottonello
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