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Di Alice e Mattia ne parlavano tutti alla fine del liceo, qualcuno aveva addirittura basato la propria tesina sulla solitudine, in loro onore. Io li ho conosciuti dopo, nel bel mezzo di un anno che sarebbe dovuto essere soltanto sabbatico, li ho conosciuti e sono rimasta colpita e sconvolta. Mi sono proiettata nel futuro e ho avuto paura di poter diventare una matematica pazza e asociale, come Mattia, perciò è stata anche un po' "colpa" di quel super osannato romanzo d'esordio di Giordano se ho lasciato che la matematica diventasse solo una materia su cui dare ripetizioni agli altri e non la mia facoltà. Poi è stato il turno dei militari italiani in missione di pace in Afghanistan, di un corpo umano a brandelli. Un'altra storia complessa e molto ambiziosa.
E adesso Il nero e l'argento, apparentemente il romanzo più "normale" di Paolo Giordano. Non ci sono pazzi, non ci sono guerre, c'è solo una famiglia qualunque al centro della storia. C'è Nora, c'è suo marito, c'è il loro bambino Emanuele. È il marito, di cui non si conosce il nome, che racconta in prima persona i fatti. Credo sia la prima volta che Giordano usi un narratore interno. Lui, il narratore, è un ricercatore fisico, come l'autore, uno scienziato come Mattia de La solitudine dei numeri primi, è a contratto e vorrebbe provare ad andare all'estero, ma Nora non è d'accordo. È nero: malinconico, chiuso, concreto, realista, metodico. Nora è un architetto d'interni, la prima ad avergli davvero sciolto il cuore. Lei è l'argento: vitale, forte, combattiva, estroversa, conduttrice di elettricità. Il loro rapporto si basa sul mescolarsi del loro nero e argento, sui loro opposti che trovano un punto d'incontro, sulle loro vitalità e mancanze che si compensano. Quando Nora resta incinta ha delle complicanze per cui deve passare tutto il tempo a letto, per questo insieme al marito decidono di prendere una donna in casa, per aiutarli. Così arriva nelle loro vite la signora A., detta da loro Babette, una signora vedova da decenni che amorevolmente li accudisce. È una donna vecchio stampo, una che resta un po' sgomenta di fronte a questi mariti che fanno le lavatrici e a queste mogli che usano il trapano. Babette si fa volere bene e resta con quella giovane famiglia anche dopo la nascita di Emanuele. Diventa una di casa, quasi una mamma per Nora. Quando, dopo anni, lei annuncia che se ne deve andare perché ormai è stanca, Nora e il marito si sentono persi, quasi incapaci di mandare tutto avanti da soli. I nodi all'improvviso vengono al pettine, soprattutto a causa del motivo della stanchezza di A.: un cancro ai polmoni che presto la divorerà. Il narratore si trova stretto tra la razionalità e talvolta la freddezza della sua scienza cui ha dedicato e dedica la vita, e la voglia di non crederci, di non credere alle PET, agli esami, alle TAC. Si trova schiacciato tra la voglia di essere sincero e l'impossibilità di non fingere una speranza fittizia di fronte alla Babette della sua vita. Nora appare più disinvolta e al tempo stesso più addolorata per la malattia senza scampo di A. La prima volta in cui una coppia si trova di fronte alla malattia è un momento complicato, gli equilibri possono saltare facilmente, per il nervosismo e perché nel dolore le persone tirano fuori un lato diverso che in situazioni normali non mostrano. Anche i due protagonisti affrontano un periodo piuttosto burrascoso, sembrano distanti, ancora giovani eppure tristemente innamorati di un ricordo del passato, sembrano stare già insieme solo per abitudine, sembra che non abbiano già più niente da dirsi. Senza A. ad accudirli tirano fuori il peggio di loro stessi, amplificano i propri difetti e il proprio egoismo, lasciando ben poco al sentimento che li ha messi insieme. Il nero di lui e l'argento di lei diventano insolubili.
Ne Il nero e l'argento non c'è lo strazio de La solitudine dei numeri primi e non c'è nemmeno la grandezza del tema de Il corpo umano, tra queste poche pagine (poco più di cento) è racchiusa una storia qualunque, quella che si potrebbe nascondere dietro le tende della casa a fianco a noi, o forse proprio anche nella nostra. L'autore si stravolge ancora una volta, diventa più semplice e sintetico, meno patetico e complicato. Racconta il dolore con un filtro scientifico che è il suo e che appiccica anche al narratore del romanzo, perciò non dà vita a un romanzo melodrammatico e strappalacrime, sebbene si parli di cancro, di come porti alla morte e di come venga affrontato dalle persone accanto ai malati.
Una bella storia, un bel romanzo.
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