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Il “New Yorker” Riscrive La Storia Di Apple… Con John Ive!

Creato il 17 febbraio 2015 da Beiphone

Tutti i fan più affezionati della Casa di Cupertino sono soliti associare l’ei fu Steve Jobs all’immagine stessa dell’Azienda e della Mela Morsicata. In molti hanno amato la figura del co-fondatore di Apple, e in molti non si sono mai discostati dall’idea che il successo di Apple sia dovuto sostanzialmente al ritorno di Steve Jobs tra le fila dell’azienda e a nient’altro.
Nulla di più falso, amici miei. Nulla di più falso.

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Il Web inizia a definire l’articolo del The New Yorker qualcosa come “il pezzo più importante mai scritto su Apple” da un po’ di tempo a questa parte, e non possiamo certo dargli torto. Eppure l’unico vanto dell’articolo è analizzare nel dettaglio la vita di John Ive… Cosa ci sarà mai di così affascinante?

Be’, per chi non lo conoscesse, John Ive è il vice-presidente a capo del dipartimento di Design alla Apple, ed è probabilmente il vero genio dietro il successo dei prodotti più affascinanti dell’azienda. È lui che si occupa dell’ideazione dei dispositivi, del loro funzionamento e del loro aspetto complessivo; in altre parole, è il “braccio” di Apple, senza il quale l’azienda stessa non avrebbe neanche il suo inconfondibile marchio dei case in alluminio.

L’articolo del New Yorker non solo è pieno di dettagli, ma mette John Ive perfettamente al centro di Apple, proprio dove è il suo posto. Come scrive l’autore dell’articolo, Ian Parker: “Più che mai, Ive è la compagnia”.

Eppure la storia la ricordiamo tutti in modo un po’ diverso: ciò che il grande pubblico crede, in effetti, è che tutto ciò che Apple ha mai fatto sia da attribuire a Steve Jobs e a lui soltanto. Ciò è dovuto probabilmente all’innegabile fascino della figura del buon Steve, ma anche alla tendenza di Apple a mantenere praticamente tutto sotto “segreto industriale”. Nulla esce dalle fila di Apple se non è l’azienda stessa a volerlo; e presumo che Ive sia una persona fin troppo umile per gridare allo scandalo e credere che gli venga riconosciuto ciò che merita.

Qualcosa, però, è cambiato, specialmente nel momento in cui Parker ha avuto occasione di entrare di persona all’interno degli uffici di John Ive e del suo team. La “storia vera” inizia a farsi intravedere da dietro le quinte, ed è una storia che, certamente, riconosce a Steve Jobs i suoi meriti… Ma non dimentica di includere anche il team che gli stava alle spalle, quando si tratta di parlare della “scalata al successo” di Apple.

Nell’articolo del New Yorker, inoltre, John Ive si lamenta esplicitamente per l’imprecisione e la superficialità con cui è stata redatta la biografia di Steve Jobs (di Walter Isaacson); come dice, Ive, la sua stima per il libro “non potrebbe essere più bassa”.

Il problema del libro, stando ad Ive, non risiede però soltanto nelle imprecisioni contenute tra le sue pagine: Isaacson sembra essersi terribilmente dimenticato di citare i meccanismi interni di Apple e il punto di vista dei membri del team. La biografia rivela molto poco sull’effettivo modus operandi di Apple; lo sviluppo dell’iPhone, per esempio, è stato un continuo susseguirsi di tentativi e problemi da risolvere, ma il libro non fa che rinchiudere l’intera esperienza in un singolo capitolo raccontato, peraltro, dal punto di vista esclusivo di Steve Jobs. Jobs era sicuramente importante per lo sviluppo dell’iPhone, ma ancor di più lo erano i designer nello studio di John Ive, la cui storia non è stata certo coperta nel libro di Isaacson.

E non dimentichiamoci di AppleWatch: anche quello è un piccolo gioiellino nato dalle precise e delicate mani di John Ive, e l’articolo del New Yorker fa intuire anche i piani futuri di Apple per il dispositivo, che diventerà sicuramente qualcosa come un monitor della salute dei bambini e un motivo di sicurezza in più per i genitori.

Ive è coinvolto praticamente in tutti i progetti dell’azienda, da Hardware e Software (e relativi aggiornamenti) al design del Campus di Cupertino, e anche in un progetto che riguarderà i nuovi rivenditori Apple Store al momento del lancio dell’AppleWatch.

Insomma, lo studio di Design di John Ive è il cuore operativo dell’azienda, la fonte primaria di molti dei prodotti di Apple; la parte della compagnia che si occupa di creare. Il dipartimento di Ive si occupa non solo di capire come i dispositivi funzioneranno, ma anche di come saranno prodotti, serviti, riparati e riciclati. In altri termini, Apple affida praticamente tutti i suoi progetti più importanti a John Ive e al suo team… E lui ha sempre servito fedelmente l’azienda, senza mai perdere un colpo.

Come viene evidenziato dall’articolo del The New Yorker, i dipartimenti di Design sono sempre stati nient’altro che uno dei tanti “passi” necessari allo sviluppo di un prodotto, all’interno di un’azienda. Alla Apple, John Ive ha reso tutto il suo lavoro il cuore stesso dell’azienda. Come diceva il predecessore di Ive, Robert Brunner, il design era sempre stato “una linea verticale in una catena di eventi” che precedeva la consegna del prodotto finale; alla Apple, il Design è diventato “una lunga linea orizzontale, che vede il design stesso come parte di ogni conversazione”.

In breve, la biografia di Isaacson aveva certamente portato agli utenti e ai fan di Apple ciò che più desideravano: una storia del loro “mito”, del grande Steve Jobs, proprio poco dopo la sua morte. E quel libro ha permesso a Jobs di ricevere praticamente tutti i meriti di Apple senza che nessuno entrasse nel dettaglio, e lasciando la “verità” da parte: John Ive e i suoi 19 Designer sono al centro della creatività di Apple, e la sua fonte primaria. Jobs era certamente il più grande collaboratore, e il suo ruolo non dovrebbe mai essere sminuito… Ma il suo contributo all’azienda non è stato l’unico, e non bisogna trascurare tutti coloro che hanno lavorato alla Casa di Cupertino e che continuano a lavorarci.

Ive però si scontra con un grande problema: le politiche di segretezza di Apple, che impediscono al designer di far fuoriuscire la vera versione dei fatti dalle fila dell’azienda. Per questo motivo, far conoscere la “vera storia” al grande pubblico è una delle imprese più difficili che John Ive possa mai dover affrontare, e la strada è certamente ancora lunga… Ma l’articolo del The New Yorker, in fondo, non potrebbe che essere visto come l’inizio di qualcosa di più grande.

Fonte: CultOfMac


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