Ci pensa un Silvio Orlando in gran forma a darci materiale su cui meditare. Gli basta calarsi nei panni di Jean-François Rameau, nipote del noto compositore Jean-Philippe, e tenere una biascicata apologia dell’immoralità e dei parassitismo sociale, tutti argomenti che non mancano mai di essere attuali.
Poco più di un’ora di conversazione, un faccia a faccia tra il dissoluto alter ego di Orlando e un Diderot sapientemente incarnato da Amerigo Fontani, è più che sufficiente a trasmettere agli spettatori di interrogativi sull’onestà, la felicità, l’educazione e il senso stesso della vita. L’attore napoletano impressiona per bravura e capacità di caratterizzazione mentre dà corpo ad un personaggio apparentemente abietto ma pieno di ambiguità. Ci si chiede di continuo se i suoi andirivieni dialettici tra l’aulico e il triviale siano prodotti da una mente spregiudicata e priva di ogni moralità o da un raffinato pensatore che, con strumenti eccentrici, riesce a mettere alle corde la limpida morale di Diderot.
Il gustoso duello verbale tra posizioni morali del tutto opposte non conduce ad un risultato schietto non essendo possibile, in un campo complesso come quello dell’analisi della natura umana, far emergere un vinto o un vincitore. Ed è questo conto che rimane in sospeso ad arricchire ancor di più lo spettatore, imponendogli con eleganza l’obbligo morale di una riflessione.
@MarcoRagni