Il nocciolo della questione è il conflitto strategico
Brevi annotazioni sulla proposta teorica di GLG
- Due sono i punti assolutamente cruciali nella produzione teorica lagrassiana dal 2000 circa in poi. Il primo è che nella formazione sociale capitalistica il conflitto strategico per la supremazia sociale complessiva, pur svolgendosi in gran parte entro la sfera economica, è condotto da agenti strategici in grado di manovrare leve politiche. Ne consegue il rifiuto di ogni economicismo e la rottura decisiva con il marxismo della tradizione (ma pure con l’althusserismo), per il quale la politica è “sovrastrutturale” rispetto all’economia (sia detto con tutte le cautele del caso, essendo una semplificazione). Il secondo è che la storia del sistema capitalistico mondiale procede per fasi: quelle monocentriche sono contrassegnate dalla supremazia piuttosto netta di un polo politico-strategico (Regno Unito 1815-1870 circa; USA 1940-2010 circa) entro la sfera capitalistica. Ciò ha come conseguenza (di notevole rilievo teorico) il fatto che in tali periodi la competizione fra stati, aree, grandi alleanze ecc., sul piano politico-economico, viene stemperata in quanto coordinata (sia pure in modo imperfetto e precario) dal centro. In parole povere vi è la tendenza, in queste fasi monocentriche, all’esplicarsi di una competizione eminentemente inter-imprenditoriale, accompagnata da un relativo coordinamento politico volto alla spartizione di sfere d’interesse geoeconomiche e a quote di potere politico-economico nelle diverse aree. Quando però una o più nazioni o aree iniziano a crescere in potenza economica e influenza e cercano quindi di ampliare la propria quota di potere complessivo (Germania e Giappone dal 1870 in poi, la Cina dagli anni 1990 in poi) la competizione fatalmente si acuisce, il coordinamento si rompe e, gradualmente – ma a volte con brusche accelerazioni – si procede verso una fase policentrica contrassegnata da un più chiaro conflitto politico-strategico, con implicazioni militari sempre più pericolose (non solo limitate a scaramucce “per procura” ma potenzialmente in grado di coinvolgere le grandi potenze). Il senso del policentrismo è la ricerca di sfere d’influenza emanante da diversi centri di potere mondiali, in modo autonomo e reciprocamente conflittuale, con rapidi rovesciamenti d’alleanze e potenziale impiego di forza militare, invece che in modo subordinato alle direttive del centro predominante.
- I due punti essenziali appena delineati hanno decisive conseguenze sul modo di pensare le ricorrenti crisi e l’instabilità stessa del sistema capitalistico. Mentre tutte le concezioni economicistiche di destra, centro e sinistra (o anche meno riduzioniste ma in ogni caso incentrate sul primato dell’economia) imputano a squilibri nella sfera produttiva o finanziaria le cause scatenanti delle crisi, per La Grassa: (1) lo squilibrio non è eccezionale ma anzi intrinseco al capitalismo (che è una “tela di Penelope”); (2) l’innesco delle grandi crisi è politico-strategico, dovuto cioè al fatto che gli agenti strategici competono in modo acuto, e privo di relativo coordinamento, nel momento in cui si scompagina l’ordine monocentrico e si ha il passaggio di fase. Possiamo allora semplificare il lavoro di GLG sulla crisi in modo volutamente provocatorio: le grandi crisi economiche non dipendono dall’economia, ma dal conflitto strategico per la supremazia sociale totale e hanno quindi una impronta eminentemente politica.
- GLG quindi rimane agganciato al marxismo solo nel senso (comunque importante) di analizzare la competizione sul piano sociale complessivo, cioè dei rapporti sociali, evitando reificazioni e politicismi (più che gli “stati” contano i gruppi di potere), mantenendo una attenzione per le classi socio-economiche ma privilegiando di gran lunga l’analisi dei dominanti e dei loro agenti. Si riduce dunque notevolmente il peso dello scontro fra dominati e dominati. Questi ultimi entrano in gioco in modo rilevante solo in dati momenti storici, in genere nelle fasi conclusive di un conflitto sociale, in presenza di forte indebolimento della élite al potere, se “messi in forma” e guidati da agenti strategici di gruppi in ascesa. Più che di lotta di classe, si tratta di scontro fra gruppi strategici dominanti in grado di orientare la direzione del conflitto. L’innovazione tecnologica e la competizione imprenditoriale quindi vengono riconcettualizzate da GLG come aspetti tattici del conflitto strategico, non come mezzi per prevalere sul piano del puro profitto, di cui si suppone il ruolo di motore “ultimo” del mutamento sociale da parte di tutti i riduzionisti. Il profitto, beninteso, è incessantemente perseguito, ma non è l’elemento decisivo del “grande gioco” del mondo industrializzato, ovvero lo è solo per l’imprenditore o lo speculatore di piccolo-medio cabotaggio; in realtà anche nel mondo capitalista, il potere è più importante della ricchezza, sebbene essa sia vitale per la conduzione del conflitto. Henry Kissinger conta più di Bill Gates.
- GLG quindi compie mosse teoriche che lo avvicinano per certi versi – ma attraverso un percorso originale e autonomo – ad alcuni importanti sociologi della storia contemporanei, come Theda Skocpol, studiosa delle rivoluzioni sociali e dell’importanza del conflitto geopolitico e strategico fra stati come sfondo e contesto imprescindibile dei mutamenti sociali, o Stephen K. Sanderson, sociologo del conflitto che su base evoluzionista delinea alcune caratteristiche di quelli che GLG chiamerebbe “agenti strategici”. Inoltre, il pensiero di GLG entra in relazione con l’analisi geopolitica in due modi: (a) non esiste alcuna “classe capitalistica mondiale”, ma gruppi di dominati divisi dalla propria provenienza geografica; gli stati contano ancora, e i dominanti dei paesi che godono di vantaggi posizionali e aventi risorse economiche e naturali superiori sono nettamente favoriti rispetto agli outsider; inoltre, (b) i gruppi di agenti strategici agiscono con “coscienza spaziale”: essi cercano di dominare porzioni di territorio di vitale importanza per sottomettere i rivali e godere di vantaggi militari, energetici e commerciali. Tali strategie geopolitiche volte a indebolire i rivali o favorire gli alleati non si limitano a guerre e alleanze, come nella diplomazia “classica”, ma includono l’uso di destabilizzazione politica ed economica, spionaggio e contro-spionaggio, aiuto a gruppi secessionisti, finanziamento a banditi per suscitare “rivoluzioni” fasulle, ricorso al terrorismo, ecc. Nei prossimi paragrafi cercheremo quindi di mettere in evidenza alcuni elementi comuni del pensiero di questi autori e di suggerire possibili sintesi adatte a formulare ipotesi per l’epoca attuale.