Lunedì pomeriggio si è tenuta a Milano, nel meraviglioso Hotel Principe di Savoia, la conferenza stampa di Monuments Men, la nuova pellicola diretta, prodotta ed interpretata da George Clooney, che uscirà nei cinema italiani giovedì 13 febbraio. Il film, che amalgama war-movie, avventura e commedia, racconta la vera storia di un gruppo di volontari che rischiarono la loro vita durante la Seconda Guerra Mondiale per salvaguardare e restituire le opere d’arte che erano state rubate e destinate alla distruzione da Adolf Hitler e dai nazisti. Il film uscirà in Italia quasi in concomitanza con il 70° anniversario del bombardamento dell’abbazia di Montecassino, avvenuto il 15 febbraio del 1944, come ha ricordato Francesco Castelnuovo di Sky, che ha moderato l’incontro.
Siamo stati così fortunati da poter partecipare all’incontro e trovarci davanti, in un colpo solo, a giganti del cinema hollywoodiano del calibro di John Goodman, Bill Murray, Matt Damon, lo stesso George Clooney e Bob Balaban, l’attore francese premio Oscar per The Artist Jean Dujardin e il giovane talento britannico Dimitri Leonidas (già visto sul grande schermo in Tormented e Centurion). Oltre ai membri del cast – mancavano soltanto Cate Blanchett e Hugh Bonneville, noto per il suo ruolo nella serie Tv cult inglese Downton Abbey – erano presenti in sala anche lo sceneggiatore e produttore Grant Heslov, Robert Edsel, lo scrittore del libro da cui è partito tutto (The Monuments Men – Allied heroes, nazi thieves and the greatest treasure hunt in history), e l’unico “Monument Man” sopravvissuto, il più giovane testimone e attore di quella storia, Harry Ettlinger, che ora ha 88 anni e sulla cui vita è basata quella del personaggio di Dimitri Leonidas.
Una domanda per Grant Heslov: quale importanza ha avuto il bombardamento dell’abbazia di Montecassino per la costituzione dei Monuments Men?
Grant Heslov: Quell’avvenimento fu proprio uno dei momenti significativi che ha costretto il nostro governo a finanziare la costituzione dell’intero gruppo dei Monuments Men, e all’inizio della pellicola vengono fatte visionare le immagini del prima e dopo del bombardamento, che fu davvero devastante.
Questo film tratta una vicenda abbastanza sconosciuta a noi stessi europei che siamo stati protagonisti di quella storia. Lo era anche per voi? Come avete conosciuto la storia del vostro personaggio?
Jean Dujardin: Non sapevo dell’esistenza di questi Monuments Men, sapevo soltanto che Hitler era un – come dire – un pittore frustrato e che aveva effettivamente come progetto la creazione di quel Führer Museum, ma ho scoperto questa particolare storia solo prima di girare il film. Il mio personaggio, Jean-Claude Clermont, è fittizio, in realtà non c’erano francesi nel gruppo dei Monument Men: è un mercante d’arte di Marsiglia che si sente molto onorato di poter fare parte di quel gruppo perché, non essendo un soldato, rappresenta l’unica possibilità per lui di partecipare a quella guerra, come d’altronde la maggior parte di loro. Oltre ai singoli personaggi che assumono grande importanza per il loro coraggio, la forza del film è quella del gruppo, che lavora per la sua unica missione.
John Goodman: Non sapevo nulla dell’esistenza dei Monuments Men finché non mi è stato offerto il copione, dopo di che ho avuto l’occasione di leggere il bel libro di Mr. Edsel, e come per coincidenza io e il personaggio storico su cui è basato il mio nella pellicola condividiamo la stessa città natale, St. Louis, Missouri, ed è stato proprio lui a scolpire il memoriale dei soldati della Prima Guerra Mondiale che è he probabilmente la primissima opera d’arte che ricordo da bambino, quando da piccolo avevo visitato il centro della città di St. Louis.
Bill Murray: Sapevo solo quello che mi ha raccontato George Clooney, sapevo che opere d’arte erano state sequestrate dagli ebrei, in particolare a Parigi, ma non sapevo che fosse un saccheggio sistematico, che i nazisti avevano visitato i musei dell’Europa occidentale anni prima che la guerra cominciasse per identificare i pezzi che volevano rubare. E il numero di opere è sconvolgente, è sbalorditivo, quando pensi che tantissime opere d’arte sono state restituite e non c’è modo di sapere quante vennero invece distrutte, e quante ancora devono essere ritrovate.
George Clooney: Non sapevo molto della storia nemmeno io, avevo visto il film Il treno, pellicola di genere bellico diretta da John Frankenheimer nel 1964, basata sul libro Le front de l’art di Rose Valland, e un documentario intitolato The rape of Europa, ma poi Grant trovò il libro di Edsel (lo aveva acquistato per caso in un aeroporto) e mi disse che poteva diventare un film davvero interessante e divertente, e occupai le due notti successive a leggere il libro; continuavo a chiedermi perché questa storia non era stata già raccontata molte volte e ad alta voce, e pensai che questa poteva essere un’ottima opportunità di raccontarla, per onorare i nostri amici e Harry.
Matt Damon: Ero egualmente scioccato di non aver mai sentito questa storia prima e il mio personaggio è basato su una persona realmente esistita, James Rorimer, curatore d’arte del MET, che come gli altri Monuments Men rischiò la vita per salvare queste opera d’arte, e questo è davvero il quesito centrale del film: ha più valore una vita umana o un’opera d’arte? Tutti questi uomini pensavano che sarebbe valsa la pena rischiare di morire, e interpretare uno di loro è stato un onore.
Bob Balaban: Nemmeno io sapevo nulla dei Monuments Men, sapevo vagamente cosa stava succedendo nello stato dell’arte durante la guerra e poco dopo la fine della guerra. Una delle cose che non sapevo era che tutte le opere che erano state raccolte dovevano essere distrutte secondo il piano di Hitler: i Monuments Men ebbero davvero molto da fare verso la fine della guerra, perché tutto stava per essere fatto esplodere. Il personaggio che ho interpretato nel film è ispirato a Lincoln Kirstein, il fondatore del New York City Ballet, e se ne intendeva di arte. Uno dei requisiti fondamentali per far parte dei Monuments Men era proprio il fatto che dovevano avere una conoscenza approfondita della storia dell’arte.
Dimitri Leonidas: Come gli altri, ignoravo tutto: il copione fu la prima cosa che lessi, quando fui ingaggiato ho letto il libro di Edsel e sono stato talmente fortunato da ricevere una lettera da Harry Ettlinger, che mi scrisse dopo un mese dall’inizio delle riprese. Mi mandò una breve biografia della sua vita, e così venni a conoscenza della sua esperienza, delle sue condizioni quando si trasferì dalla Germania a New York: nel 1938, la sua era una famiglia di ebrei perseguitati dai nazisti, poi tornò in Europa come combattente per l’esercito americano. Avere un contatto diretto con il personaggio che stavo interpretando mi ha avvantaggiato, ma allo stesso tempo ti fa cambiare la percezione delle cose: a volte si tende a romanticizzare una storia, ma avere una testimonianza diretta di quello che Harry dovete passare mi ha fatto comprendere ancora di più quello che stavamo facendo, la storia che stavamo raccontando.
Una domanda per Bill Murray. Spesso l’abbiamo vista in ruoli molto particolari, come negli ultimi film di Wes Anderson. Come ha affrontato questo ruolo da classico film di guerra, anche se con sfumature che ricordano per certi versi un personaggio di MASH di Robert Altman?
Bill Murray: Preferirei parlare dei film di Wes Anderson, ma a dire la verità non ho capito bene la domanda! Fatemi indovinare qual era la domanda… Direi: se dovessi andare a cena con Wes Anderson, sarebbe più gradevole che andare a cena con George Clooney? George mangia molto salutarmente, beve molto di più di Wes Anderson; Wes, nonostante appaia come un uomo mingherlino, mangia barili di cibo, enormi quantità di cibo, come se dovesse morire domani. Perché questo è importante per me come attore? Perché almeno con George sai che ci sarà una fine a questo dolore e a questa infelicità, bevendo abbastanza da dimenticare chi pensavamo di essere. Con Wes se mangi così tanto ti rendi conto che le riprese andranno avanti e avanti e avanti, perché – scusatemi, non so come tradurlo in italiano – si tratta di un fottuto film d’autore! Ma con George invece sai che ci sarà da divertirsi, ci si prepara, si è pronti, senza cose artistiche che strisciano dentro e fuori: lui fa semplicemente un film che parla di arte, ma sarà un film, e so che berremo, alla fine della giornata.
George Clooney: Grazie Bill! Però, quando ho lavorato con Wes Anderson, l’ho trovato una persona che mangia in modo leggero.
Una domanda per George Clooney. Si avverte una leggerezza nei dialoghi che riporta molto al cinema di Robert Altman, soprattutto MASH: come ha lavorato alla sceneggiatura dopo la lettura del libro, soprattutto per quel che riguarda i dialoghi, da cui traspaiono umorismo e goliardia?
George Clooney: Quando abbiamo iniziato a lavorare al film, io e Grant avevamo in mente film che ci erano piaciuti molto crescendo, film di guerra come I guerrieri, I cannoni di Navarone, La grande fuga, e c’era sempre un po’ di humor che ho sempre apprezzato e considerato come una parte importante di quelle pellicole. C’era sempre anche del buon humor macabro sul rapporto tra gli uomini e la guerra, e del resto anche tra gli uomini e le donne e la guerra, e volevamo mantenere quella sfumatura. Inoltre, volevamo fare un film sull’arte e volevamo che il pubblico lo vedesse e che non fosse una lezione di educazione civica, ma una piacevole opera di intrattenimento. Quelle erano le cose che avevamo in mente, ma puoi semplicemente assumere questi attori e lo renderanno divertente. Avere un cast del genere è stato un grande aiuto.
Signor Clooney, ha già fatto film su storie vere. Quanto spazio dà all’immaginazione per dare colore ai personaggi?
George Clooney: Quando facemmo Good night, and good luck c’erano libri e descrizioni sui giornalisti, quindi dovevamo essere molto attenti a raccontare le storie in modo fedele; sbagliare poteva essere una cosa negativa per il successo del film, dovevamo essere prudenti soprattutto per il momento storico in cui ci trovavamo. In questo film sapevamo che dovevamo essere accurati con i fatti storici, con gli avvenimenti fondamentali, ma come come capita in tutti i film volevamo prenderci alcune libertà, a partire da Lawrence d’Arabia, per quanto riguarda i dialoghi tra i personaggi. Il flirt tra i personaggi di Matt e Cate non è storicamente fondato, a volte si prendono scelte che rendono il tutto più cinematografico e la narrazione più divertente. In generale, però, molte delle cose che nella pellicola sembrano surreali in realtà sono avvenute veramente; per esempio (spoiler) alcuni dei Monuments Men non si erano accorti che stavano mangiando sopra una tavola della pala d’altare di Jan Van Eyck a Gand! Molte cose però sono vere, per la maggior parte è tutto vero.
Una domanda per Jean Dujardin. Come è stato essere il “Frenchie” nel gruppo di star hollywoodiane? Cosa pensa di avergli trasmesso?
Jean Dujardin: Spero il mio buonumore, la mia passione, le mie canzoni, ma in verità sono soprattutto loro che mi hanno dato tante cose: come sono stato onorato di aver potuto lavorare con Martin Scorsese, lo sono stato nel lavorare con George e questo cast. Mi sentivo un po’ il piccolo francese, come il mio personaggio nel film, dentro e fuori dal set, e questo mi ha aiutato a non strafare ma a comportarmi adeguatamente. Non è complicato lavorare con George, anzi è rilassante; lui mangia mele tutto il giorno, e questo è molto piacevole perché piacciono anche a me! Sono arrivato in questo progetto molto umilmente, si tratta del mio secondo film americano, e sono stato molto onorato di averne fatto parte.
Signor Clooney, ne Le idi di marzo aveva diretto Philip Seymour Hoffman. Che ricordo ha di lui?
George Clooney: Siamo una comunità, un gruppo di attori e filmmaker, e lui aveva un ruolo centrale in essa. E’ naturalmente molto triste per noi, ma lo è molto di più nel suo caso, perché era come il cuore pulsante della nostra comunità da molti punti di vista. Anche se non aveva spesso ruoli da protagonista, in realtà finiva per essere centrale, e quando andava via dalle sue scene lasciava un grande buco, e penso abbia lasciato un vuoto enorme nella nostra comunità quando se ne è andato via… ci mancherà immensamente.
Il cuore del film è la difesa della cultura, ed è importante che un tema come questo venga affrontato da una major. Ma conta di più la difesa della cultura o il sacrificio di una vita umana? Voi cosa pensate a riguardo?
Matt Damon: E’ la stessa domanda che i Monuments Men posero a se stessi, e tutti arrivarono alla risposta individualmente e come gruppo, ovvero che sì, valeva la pena rischiare la vita; e devo dire che avendo passato la mattinata ad ammirare L’ultima cena di Leonardo da Vinci – all’inizio del film ci sono cittadini italiani che rischiano la loro vita per salvarla, circondandola di sacchi di sabbia e formando un muro – è sembrato improvvisamente anche a me che varrebbe la pena rischiare per salvare quel capolavoro che ho avuto modo di vedere.
Bob Balaban: E credo che dobbiamo ricordare che erano tutti personaggi che non avrebbero potuto combattere regolarmente, erano troppo vecchi per arruolarsi nell’esercito, quindi quello era il loro unico modo di servire il proprio paese con le loro abilità. Non si trattava di salvare singole opere d’arte perché erano in sé magnifiche o importanti, ma perché nella loro pluralità rappresentavano l’essenza di una cultura che sarebbe stata distrutta e che invece doveva essere preservata.
Cosa rappresenta questo progetto per voi, come uomini?
Matt Damon: Ho potuto lavorare con un regista con cui volevo lavorare, quindi egoisticamente è stata una cosa positiva per la mia carriera. Personalmente, mi sono sentito fortunato a raccontare una storia così importante, di questo gruppo di persone e di cosa riuscirono a fare. Mi sento grato di aver fatto parte di un grande cast e di un grande film.
George Clooney: Direi la stessa cosa. Questa storia doveva essere raccontata. Credo sia cosa nota che Hollywood ama fare film sulla Seconda Guerra Mondiale, l’abbiamo fatto per settant’anni, ma questa era una storia inedita, nuova, interessante. Inoltre, lavorare con queste persone – non diteglielo, ma sono miei amici – mi fa sempre piacere, è stato esaltante alzarsi ogni mattina e andare a lavorare con loro, con degli amici, è stato divertente.
Signor Murray, visto che Clooney e Damon sono amici, ha notato favoritismi nei confronti di Damon? E per Damon: qual è il bello e il brutto di lavorare con un amico?
Bill Murray: Be’, Matt è stato costretto a lavorare con una donna. George ha fatto lavorare Matt con Cate Blanchett, che è un’attrice molto professionale e molto seria, quindi ciò ha messo le abilità di Matt in rilievo. Se fosse stato così fortunato da lavorare con noi maschi avrebbe fatto una figura migliore, le sue capacità recitative sarebbero sembrate migliori e sarebbe risultato più bello. Cate è più bella di tutti noi, quindi Matt alla fine appariva abbastanza goffo vicino a lei, e la sua recitazione piuttosto superficiale e insipida. Non credo che George come amico stava aiutando Matt in questo caso, e se quella è amicizia chi la vuole? Credo che il resto di noi consideri George un amico migliore di quello che Matt pensa sia oggi. E’ stato bello essere chiamati per questo film da George, adesso tutti noi abbiamo tolto questa cosa dalla lista e non ce ne sarà più bisogno, l’abbiamo portata a termine e adesso vogliamo tutti lavorare con David O. Russell.
Matt Damon: Penso che lavorare con un amico sia interessante, perché non devi essere diplomatico, arrivi dritto al punto e si risolvono i problemi più in fretta. George poi ha cominciato a darmi delle note e mi chiedeva “Perchè non sei bravo come l’altro attore in questa scena?”, e io gli dicevo “Intendi te stesso?” e lui “Sì, ho appunti solo per te e non per me!”. E’ semplicemente un attore migliore di me, ho avuto una bella lezione di umiltà.
George Clooney: Ancora una volta imparerò che questa battuta non funzionerà quando verrà tradotta e finirà sui giornali, e mi renderò conto di quanto sono idiota – il che è vero. A dire la verità non è nemmeno una battuta, perché è davvero così.
Matt Damon: Ok, George non mi ha mai trattato così.
George Clooney: Non ci sono lati negativi nel lavorare con un amico o con uno di questi attori. L’unico lato negativo è che sai che ad un certo punto dovevamo smettere. E’ stata una gioia, ami essere lì.
John Goodman: Dato che Bill è seduto vicino a me e dato che ha un ottimo gancio sinistro, confermerei tutto quello che ha detto. Dal canto mio, sono stato davvero grato di essere stato chiamato per questo progetto, ogni giorno per me era una gioia, ho odiato veder finire il film, e non ho mai avuto una così bella esperienza durante le riprese di un film.
La storia di Monuments Men è in realtà molto, molto attuale: non sono stati ancora trovati tutti i cimeli, a Washington c’è appena stata una conferenza mondiale in merito. Come si pongono i singoli governi riguardo a ciò, in particolare l’Italia?
Robert Edsel: Credo che sia una sfida che l’Italia sta già affrontando. Molte opere sono state ritrovate dai Carabinieri, ma la vostra nazione dovrebbe dimostrare un certo grado di trasparenza sui tesori che ha nei suoi musei che magari appartengono a qualcun altro, in modo che ritornino ai loro legittimi proprietari, mentre è stata finora molto lenta nell’affrontare questo tipo di questioni. Persone prima di noi hanno rischiato la loro vita per salvare cose come il Cenacolo; spero che il film sensibilizzi le coscienze di tutti a riguardo e che scatti un senso d’obbligo di fare lo stesso per le future generazioni.
Una domanda per Dimitri Leonidas. Lei è l’unico che ha conosciuto il suo “personaggio”: che tipo di rapporto si è instaurato tra di voi?
Dimitri Leonidas: Ho incontrato Harry per la prima volta solo pochi giorni fa, ma, come ho detto prima, grazie a una lettera che mi aveva scritto ho preso contatti con lui e conosciuto la sua biografia. Come attore cerchi sempre di dare del tuo meglio in ogni film che fai, ma il fatto che ci sia qualcuno che vedrà la propria vita ritratta ti dà maggiore responsabilità: sono curioso di sapere come si sente vedendo la mia performance, spero approvi quello che ho fatto. E’ stato un onore poterlo interpretare, la sua è una storia incredibile, non ci credereste ma è tutta vera.
George Clooney: Ritornando al discorso dell’accuratezza, Dimitri praticamente interpretava Harry, e Harry lasciò la Germania a 13 anni perché era un ebreo in pericolo. E’ andato a New York, è finito nell’esercito per combattere per il suo nuovo paese. E’ proprio vero che nella sua città natale non aveva avuto il permesso di vedere un quadro di Rembrandt, ma poi riuscì a farlo durante la guerra, in quella miniera, proprio come vedete nel film.
Signor Clooney, visto che sembrate così affiatati, ha già nuove idee per progetti insieme ai suoi colleghi qui presenti?
George Clooney: Questi ragazzi qui? No no no, assolutamente, non lavorerò più con loro. Ho già lavorato con John nel 1988 nella sua serie Tv Pappa e ciccia, con Bill durante gli anni, e ho visto Jean Dujardin vincere un Oscar – bastarde! Matt e io abbiamo fatto sei film assieme, Bob e io ci siamo conosciuti a diversi party e con Dimitri ci siamo conosciuti sul set. Grant e io siamo amici da 31 anni, da quando mi prestò un centinaio di dollari per fare fotografie per le audizioni – che uso ancora! Insomma, chissà, quando potrò lavorare con loro lo farò ancora volentieri. Tranne che con Matt.
Oltre all’omaggio a figure storiche, nel film c’è una riflessione sul presente: cosa ne pensa dell’incuria rispetto all’arte? E’ a conoscenza delle polemiche sui nostri musei, sulla cultura non esaltata come dovrebbe?
George Clooney: Quando una nazione ha problemi economici, la prima cosa a soffrirne è l’arte. Non è una sorpresa, anche negli Stati Uniti è così. Ma è una lotta continua… Non abbiamo fatto nulla per salvare i musei a Baghdad, ed è stato un disastro. Hitler non voleva solo rubare le opere, le voleva distruggere per cancellare la cultura oltre a uccidere le persone, come se non fossero mai esistite. Prima della Tv e del cinema c’erano i graffiti sui muri, ed è grazie a questi de possiamo sapere come eravamo una volta e come siamo arrivati fino a qui. Soprattutto nei momenti di difficoltà, non dobbiamo perdere di vista queste cose e preservare l’arte e la cultura.
Quale ruolo avreste voluto interpretare ma non ci siete riusciti?
Matt Damon: Vorrei interpretare Danny Ocean.
George Clooney: Vorrei essere Jason Bourne.
Bob Balaban: Avrei voluto la parte di Bill in questo film, così avrei potuto essere divertente.
Bill Murray: Avrei solo voluto avere una scena in una vasca in questo film.
John Goodman: Avrei voluto il ruolo di Cate Blanchett, così avrei potuto indossare quelle scarpe favolose.
Jean Dujardin: Avrei voluto rimanere vivo ancora un po’ in questo film.
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