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Il nostro incontro con l’enfant prodige Xavier Dolan, regista di “Mommy”

Creato il 02 dicembre 2014 da Filmedvd
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La conferenza stampa a Milano del film Mommy, alla presenza del suo talentuosissimo regista, Xavier Dolan, si apre come una piccola processione ad un oracolo. L’oracolo è lui: 25 anni e già all’attivo cinque meravigliose pellicole, Dolan porta per la prima volta il suo cinema in Italia. Mommy, ricompensato a Cannes con il Premio della Giuria, è infatti il primo film del regista canadese ad arrivare nelle nostre sale, da giovedì 4 dicembre. In realtà l’atmosfera quasi solenne si tramuta subito in una piacevolissima chiacchierata con un giovane e geniale cineasta, un po’ impacciato nel relazionarsi con i giornalisti ma dalla parlantina sciolta e dalla semplicissima ironia.

 

xavier-dolan

 

Si parte subito forte, con la domanda diretta: gli Oscar e Mommy come candidato del Canada. Dolan risponde con sicurezza, forse la prima e unica volta in tutto l’arco della conferenza: “Sono lusingato da questa scelta ma anche poco sorpreso. Del resto ogni nazione propone dei film per concorrere agli Oscar e Mommy era tra i potenziali titoli; quando l’abbiamo saputo eravamo ovviamente orgogliosi e felici. Ho già conosciuto Cannes qualche mese fa e andare ad Hollywood sarebbe una sfida affascinante e diversa”. Poi si entra nel vivo del film, con la sua propensione ad indagare le dinamiche familiari e la rappresentazione della figura materna, che a molti è sembrata ancor più crudele in questo film che nei suoi precedenti: “La famiglia, e di conseguenza la figura materna, sono un pozzo senza un fondo d’ispirazione e i personaggi sono sempre unici, non si ripetono mai, quindi volendo potrei pure fare un film sulla famiglia ogni due anni fino a quando compirò 85 anni!”

“Ovviamente rinnovando, facendo cose sempre diverse, storie diverse… ma di per sé le famiglie sono come un grande amore: non smettono mai di essere una fonte. Per quanto riguarda invece la figura materna io non credo affatto di accanirmi sulla madre in modo crudele. Anche perché lo confermano le madri protagoniste di tutti i film che ho fatto finora, da J’ai tué ma mère a Laurence anyways fino a Mommy. Proprio Diane è una madre come ce ne sono poche: disposta a perdere il lavoro e a sacrificare tutto per il proprio figlio, anche il suo amore. Io non mi accanisco sulle madri, anzi, mi accanisco con le madri. La vita è crudele, non io. Trovo oltretutto che ci sia molta differenza tra cos’è il film e cos’è il personaggio. Nelle mie storie i personaggi li metto in risalto, e a me rimane il piacere di ottenere dal pubblico la considerazione che, a prevalere nei loro ricordi del film, sia la luce più del buio. Il messaggio del mio film sostanzialmente è che il mondo è senza speranza ma è popolato da persone che sperano”.

Si passa poi al lato musicale del film: la scelta delle canzoni e il ruolo della musica nei film di Dolan. Qui le pause di riflessione si fanno più lunghe: “La musica arriva molto presto nel processo di scrittura. Mi è capitato spesso di sentire musiche per caso e utilizzarle poi per qualche mio lavoro. Ad esempio una volta ho ascoltato una canzone alla radio e poi da quella canzone ho costruito un film (che tuttavia non ho ancora girato). Per Mommy è stato lo stesso; ho ascoltato per caso il brano Experience di Ludovico Einaudi e nel mentre ho pensato fosse perfetto per raccontare i problemi di una donna che si è persa. Da lì ho costruito poi Mommy. L’aspetto fondamentale della musica nei miei film è il suo uso strettamente diegetico: sono i personaggi ad avere il controllo della musica. I ricordi del pubblico e i miei apprezzamenti possono essere sicuramente un valore aggiunto al film ma sono i personaggi a scegliere, a prenderne possesso”.

 

Mommy Anne Dorval

 

“In Mommy ho voluto inserire delle canzoni che piacessero, certamente, sono un fan anch’io di molta musica degli anni ’90 con la quale sono cresciuto. Ecco perché Dido, Andrea Bocelli, Céline Dion e gli Oasis”. Dalla musica al formato, elemento peculiare di uno dei più bei film degli ultimi anni. Il formato dell’inquadratura come cassa di risonanza dei sentimenti dei personaggi. Come conferma lo stesso Dolan: “Sì, trovo che questa sia una bella interpretazione delle emozioni. E in effetti è l’unica ragione. Io amo profondamente la fotografia e per me l’unico formato delle foto è il vecchio 6×6, non certo quello di Instagram. Volevo essere vicino agli occhi e ai personaggi, volevo che ci potessimo concentrare sull’essere umano, sul personaggio. Ecco il perché del formato 1:1”. Il vero lato insolito e raffinato di Xavier Dolan nasce però dalle sue ispirazioni, dalle sue passioni e dalle sue abitudini: anche in questo caso con la fotografia come ambito fondamentale.

“Vengo ispirato soprattutto dalla fotografia. Non dai grandi film, nemmeno quando giro. Devo ammettere che guardo pochissimi film e non ho nemmeno questa grande cultura cinematografica. I film della mia infanzia non ho bisogno di rivederli per ricordarmeli perché so benissimo come sono: e tra questi intendo Mamma, ho perso l’aereo, Batman – Il ritorno e Titanic. Amo la pittura, Chagall, Matisse e molti altri. I miei interessi spaziano dalla moda alla pittura, e alle volte mi vergogno profondamente di questa mia ignoranza cinematografica. Raramente mi sento ispirato da un altro film, ma credo comunque più alle ispirazioni che alle influenze. Credo all’aspetto mistico dell’ispirazione. Ma la poca cultura cinematografica che mi contraddistingue alle volte mi porta dritto verso situazioni paradossali. A Cannes ad esempio molte persone mi parlarono della scena di Mommy con il sacchetto di plastica: loro ci vedevano influenze russe, movimenti di macchina ricercati, il ruolo del vento e molte altre cose… in realtà quella scena l’ho girata ispirandomi a Mamma, ho perso l’aereo”.

A quel punto Dolan ci abbozza un sorriso d’intesa scanzonato e divertito, come quello di un bambino catapultato in una mondo pieno di caramelle semplicemente perché dannatamente bravo nel mangiarle. A quel punto arriva la domanda che lo rapporta al personaggio di Steve: quanto c’è di Xavier in Steve e viceversa? “Steve è presente nella mia realtà per la violenza che egli ha dentro di sé. Da piccolo ero molto violento, lottavo e picchiavo senza alcun problema. Poi con l’età mi sono calmato e nel cinema ho trovato un canale sociale nel quale far sfociare tutta questa rabbia: rabbia nei confronti di chi mette certe categorie di persone chiuse in delle scatole solo per paura. I miei personaggi provano questi sentimenti molto spesso. In questo mi ritrovo ma ovviamente non fino in fondo, perché Steve soffre di una malattia mentale e io no. Io la mia violenza dentro di me non ho smesso di averla, però devo dire che ultimamente la scarico soprattutto contro il mio iPhone!”.

 

Mommy Xavier Dolan

 

Quindi il regista si apre al suo progetto futuro, The death and life of John F. Donovan, storia incentrata sui problemi delle celebrità: “Racconta la vita nello show business di questo personaggio che altro non è che la star che il cinema stava aspettando, il nuovo Marlon Brando o James Dean. Tutto va a gonfie vele fino a quando viene scoperta la sua relazione epistolare con un ragazzino di undici anni che vuole diventare un attore. Sia chiaro, non sarà una satira di Hollywood ma servirà a mostrare quanto i media ingrassino le vite delle star, quanto le padroneggino e le comandino. La parte del cattivo sarà affidata a Jessica Chastain; l’ho conosciuta tramite Twitter, aveva visto Mommy a Cannes e mi ha scritto per farmi i complimenti. Da lì siamo passati ad una piacevole chiacchierata davanti ad una bottiglia di vino e abbiamo parlato di questo progetto. Posso dire con discreta certezza che siamo diventati amici. Non ci saranno sfumature in questo film, il suo personaggio sarà al cento percento diabolico, al cento percento bitch. Bastarda. Si dice così da voi, giusto?”.

Infine il futuro. E il suo rapporto con il cinema. Anche qui Xavier Dolan è decisamente lapidario: “Il cinema è tutta la mia vita. Attraverso il cinema io esprimo le mie preoccupazioni, i miei sogni, le mie paure. E quando non sto girando un film è come se una parte di me stesse dormendo, il che è ironico perché ultimamente non sto affatto dormendo! Quando si lavora nel cinema la cosa buffa è che non si vive quasi più la vita reale: la musica non l’ascolti solo per il piacere di ascoltarla ma cercando di capire se può essere utilizzata in un film, così come la luce e i luoghi; questi ultimi finisci per vederli e capire se possono essere le location giuste per qualche film da realizzare e non solo per visitarli e basta. Tutto è così, tranne i costumi, ovviamente. Se penso a tutto questo è strano, ma il cinema per me è respiro e il cinema degli altri non può che essere un’estensione del mio respiro. Su questo non ho alcun dubbio.”

 

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