Terza e ultima parte di questa mia requisitoria sul nuovo e modificato articolo 18 (qui i link alla Prima e Seconda parte).
Il nuovo articolo 18 NON prevede la reintegra, ma solo un indennizzo economico, a carico del Datore di lavoro che licenzia in modo illegittimo, da quindici (15) a ventisette (27) mensilità. Questo sempre che il Giudice sia intenzionato a dichiarare nullo il licenziamento in quanto non sorretto da giusta causa o giustificato motivo.
Lo hanno chiamato LICENZIAMENTO PER MOTIVI ECONOMICI.
In pratica, quasi tutti!
Tutti i licenziamenti, di fatto, sono o disciplinari o economici. Per quelli disciplinari vi è la giusta causa, per quelli economici vi è il giustificato motivo. Quindi cambia poco rispetto a prima: “solo” l’assenza del reintegro e l’inasprimento della “pena pecuniaria” (prima prevedeva minimo cinque mensilità) inflitta al Datore di lavoro che licenzia in modo illegittimo.
Cisl, Uil e Ugl hanno aderito, stessa cosa le Associazioni degli imprenditori, meno la Cgil che fa quadrato sulla reintegra.
Ora la Cisl chiede di cambiare registro al Governo (forse poteva dirlo prima?) in quanto ha incontrato qualche problema interno al suo direttivo: chiede che vi sia la conciliazione obbligatoria fra le parti prima di andare in causa.
Con l’entrata in vigore, il 24 novembre 2010, della legge n.183/10 (c.d. Collegato Lavoro) il tentativo di conciliazione presso le Direzioni provinciali del lavoro, che precedentemente doveva essere esperito obbligatoriamente in caso di controversie individuali di lavoro, è ora diventato facoltativo sia nel settore privato che in quello pubblico.
Prima il tentativo di conciliazione era obbligatorio, poi è diventato facoltativo, ora la Cisl chiede che ritorni obbligatorio. Ma non poteva chiederlo quando è stato reso facoltativo?
Di fatto, quando era prevista obbligatoriamente la conciliazione prima di andare in causa, questa non ha sortito gli effetti sperati. Com’era immaginabile, nessun Datore di lavoro che licenzia concilia un fatto che per l’azienda è rilevante (non a caso il licenziamento è una delle decisioni più gravose dal punto di vista anche sociale) e nessuno torna indietro sulla propria decisione, magari non certo in una sede di contenzioso che non ha poteri di deliberare, ma solo di mediare.
E allora perché la Cisl chiede che ritorni a essere obbligatorio il tentativo di conciliazione?
Perché una causa di lavoro, come tante altre, rischia di andare avanti degli anni, anche molti, troppi anni.
Ma non solo! Proporre la conciliazione obbligatoria garantisce di fare “cassa” al Sindacato. Perché non dirlo chiaramente che il Sindacato si basa, per la sua sopravvivenza, sia sugli introiti delle tessere con il contributo sindacale, sia su quelli derivanti dai vari servizi a pagamento, come i CAF Fiscali ma, sopratutto, sulle cause di lavoro? Gli uffici vertenze sindacali sono veri e propri business economici irrinunciabili per il Sindacato. Un servizio a garanzia per gli iscritti (allora perché non farlo gratis?) e ai Lavoratori non iscritti (far pagare a questi avrebbe già più logica, considerato che non pagano normalmente la tessera sindacale), dicono loro. Invece altro non è che un mezzo/strumento per fare “cassa“, infatti, la regola è che il Lavoratore deve pagare al Sindacato una somma corrispondente al dieci per cento (10%) di quanto incassa attraverso il contenzioso della cosiddetta vertenza sindacale.
Da 15 a 27 mensilità sono una bella cifra… fate il calcolo del 10% per il Sindacato e si capisce chiaramente il motivo per cui Bonanni della Cisl chiede il tentativo obbligatorio di conciliazione. Nel caso di una sentenza giudiziaria, che arriverebbe sempre dopo anni e anni, non spetterebbe NULLA al Sindacato .
In definitiva Bonanni si dice d’accordo con la nuova formula dell’articolo 18: niente reintegro, ma indennizzo economico per il Lavoratore ingiustamente licenziato. E il 10% al Sindacato attraverso la conciliazione obbligatoria!
L’ultimo aspetto, che ritengo la più grande presa in giro al mondo del lavoro e a tutti i Lavoratori: l’indennizzo da 15 a 27 mensilità.
Ma ci pensate a un’Azienda che ha problemi economici, magari non riesce a pagare gli stipendi a tutti e, per questo, licenzia uno o più lavoratori e poi dovrebbe scucire la fantastica somma di 27 mensilità, più di due anni di stipendio?
Certo, la pagherebbe solo se il licenziamento viene dichiarato illegittimo, quindi era un licenziamento fasullo, non sorretto da giusta causa o giustificato motivo. Anche questo è vero, ma solo in parte.
Vi è una Magistratura che reintegrava a prescindere, vi è una Magistratura sensibile alle reintegrazioni di principio, di strategia sindacale, di importanza mediatica. Come il reintegro dei dipendenti licenziati dalla FIAT, reintegra sentenziata in appello quando, in prima istanza, quel particolare Giudice era CONVINTO che il licenziamento fosse stato legittimamente attivato da parte della FIAT.
Ecco la mia paura e di tanti altri: la Magistratura che libera e incarcera, che reintegra e non reintegra, che decide e non decide, che da ragione a uno e poi gli da torto. E’ sempre la stessa Magistratura, ma cambiano i Magistrati che, non solo con le cause di lavoro, interpretano a loro piacimento le regole, personificando le sentenze verso questo o quello, per lo più seguendo una logica del tutto soggettiva e non giudiziaria o legale.
Ragione in prima istanza, torto in appello, ragione o torto in Cassazione. Questa è la Magistratura su cui, tutti noi, riponiamo fiducia?
Torniamo al caso dei 27 mesi di salario, due anni e passa di stipendi che il Datore di lavoro, che ha licenziato per motivi economici un lavoratore, dovrà cacciare fuori.
Ma dove li trova questi soldi? Se vince in prima istanza non li caccia fuori, ma se poi perde in appello, che fa? Va in Cassazione, visto che sarà sicuro che gli costerà molto meno l’avvocato piuttosto che la certezza di sganciare 27 mensilità. Ma non solo, sarà anche sicuro di trovare sempre un Giudice diverso dal precedente che gli ha dato torto o ragione, così è sempre stato e così sempre sarà. Quindi, conviene osare e tirare avanti, altrimenti l’alternativa potrà essere solo quella di sganciare 27 mensilità che non ha o che, anche fosse, non vorrà pagare o comunque vorrà evitare di farlo a tutti i costi.
Anni, quindi, decenni di cause che intaseranno una Magistratura già bella incasinata di suo.
Ma se la necessità aguzza l’ingegno, ecco che troviamo più facile e redditizio, per l’Imprenditore furbo, non pagare gli stipendi ai propri dipendenti. Questi ultimi quanto ci impiegheranno a dare le dimissioni prima di mangiarsi la casa? Un paio di mesi, forse tre o quattro, non di più.
Ecco risparmiati, di colpo, ben 27 mensilità. Al massimo, a quell’Imprenditore furbo, l’operazione potrebbe costare in tutto due, tre o quattro mensilità da pagare a quel Lavoratore che, dopo essere quasi morto lui e la sua famiglia per non aver percepito gli stipendi, avrà dato forzatamente le dimissioni.
Ed ecco che “fatta la legge trovato l’inganno”.
Con le dimissioni, statene certi, non si applica l’articolo 18; né quello vecchio né, tanto meno, quello nuovo.