Quando è stata la crisi del capitalismo?
- Moishe Postone e l'eredità della Nuova Sinistra degli anni 60 -
di Chris Cutrone
Lenin ebbe a dichiarare, tristemente, che i marxisti miravano a superare il capitalismo "sulle basi dello stesso capitalismo". Ciò veniva detto nel contesto di quelli che erano gli orrori, non solo dello sfruttamento industriale, ma anche, e soprattutto, della guerra, la prima guerra mondiale. Lenin non stava - come si potrebbe equivocare - semplicemente difendendo il cosiddetto "comunismo di guerra" o il capitalismo statalista. No. Lenin vedeva nel capitalismo di Stato l'avanzare della contraddizione del capitalismo. ["E' affare della borghesia sviluppare i trusts, cacciare a forza donne e bambini dentro le fabbriche, martirizzarli, corromperli, condannarli all'estrema miseria. Noi non 'rivendichiamo' un simile sviluppo, non lo 'sosteniamo', lo combattiamo. Ma in che modo? Sappiamo bene che i trusts ed il lavoro delle donne nelle fabbriche rappresentano un progresso. Non vogliamo tornare indietro, all'artigianato, al capitalismo pre-monopolistico, al lavoro a domicilio delle donne. Avanti, per mezzo dei trusts, ecc., e più oltre, verso il socialismo!" (Lenin, "Il programma militare della rivoluzione proletaria", 1916)]. Al contrario, dopo Lenin, abbiamo avuto il capitalismo di Stato, ma non abbiamo avuto alcuna attiva coscienza politica della sua contraddizione. E' stato questo a definire la sinistra nel suo sviluppo - degenerazione - successivamente.
La domanda è: quando è avvenuta la crisi definitiva del capitalismo, dopo la quale si poteva affermare plausibilmente che il mondo era eccessivamente maturo per un cambiamento? E' avvenuta nel 1968, come supponeva la Nuova Sinistra? O è avvenuto molto prima, nel corso della prima guerra mondiale, come pensavano Lenin ed altri marxisti?
Moishe Postone è probabilmente, di gran lunga, il più importante interprete di Marx ad essere emerso dalla generazione della "Nuova Sinistra" degli anni 1960/1970. Contribuendo al "ritorno a Marx" di quella generazione, motivato dal diffuso scontento e dalla crisi politica degli anni '60, e trovando un'ulteriore spinta nella crisi economica e nella recessione degli anni '70, il lavoro di Postone su Marx partecipava alla formazione dell'auto-comprensione della transizione da quella che è stata chiamata la sintesi "keynesiano-fordista" del modo predominante di capitalismo nella metà del XX secolo, alla sua forma neoliberista a partire dagli anni 1970. Se Postone, così come altri della generazione della Nuova Sinistra, ritiene che il neoliberismo sia la parodia delle aspirazioni di emancipazione degli anni '60, dove si colloca oggi il suo lavoro? Per il lavoro di Postone erano molto attuali gli anni 60/70. Tale lavoro si richiama ad un'era precedente.
Dai primi lavori di Postone è trascorsa un'intera generazione, e sono passati più di 20 anni dalla pubblicazione del suo libro, "Time, Labor and Social Domination" (1993): i più giovani lettori di Marx che incontrano l'interpretazione di Postone, sono probabilmente nati dopo che le formulazioni di Postone sono state scritte e pubblicate. La recente crisi economica, la "Grande Recessione" ancora in corso, ha indotto un rinnovato "ritorno a Marx" che si ricollega al precedente ritorno a Marx avvenuto negli anni 60/70. Il più perspicace giovane aspirante "marxizzante" (N.d.T.: dal francese "marxisant": che tende oltre Marx. cfr. Larousse) ha scoperto il lavoro di Postone, ed ha cominciato a cercare di dare un senso al presente nei termini di Postone.
Un tale riconoscimento tardivo è ben meritato, per il lavoro di Postone, e per il suo approccio al problema del capitalismo.
Il contributo specifico di Postone, è stato quello di focalizzare l'attenzione sulla critica fatta da Marx alla relazione fra lavoro astratto e tempo astratto, nell'auto-contraddizione del valore nel capitale. Questo ha permesso a Postone di riconoscere come Marx avesse colto l'accumulazione della storia nel capitale, l'antagonismo fra "lavoro morto" e "lavoro vivente" nella riproduzione continua del capitale e nelle relazioni sociali di scambio di lavoro sotto la forma merce del valore.
Gran parte dei presupposti, per lo più di carattere politico, per rifiutare lo sguardo critico di Postone sull'approccio di Marx al capitalismo, sono venuti meno. Centrandosi sulla questione del "proletariato-trascendente" contro la politica del "proletariato-costituente" e sul problema della "ontologia del lavoro". Allo stesso tempo, però, l'ipotesi politica per il lavoro di Postone - la possibilità di superare la politica del lavoro - è stata erosa ed indebolita insieme ai presupposti per il suo rifiuto: l'oggetto della critica di Postone al recupero di Marx negli anni 60/70 è in gran parte, se non del tutto, sparito. E cosa ancor apiù importante, la prognosi politica che aveva motivato Postone è stata falsificata: il lavoro di Postone non sarebbe stato capace di contribuire a chiarire l'esperienza della Nuova Sinistra poiché la Nuova Sinistra ha fallito nelle sue aspirazioni. Non ha aiutato a superare il capitalismo.
Periodi liberali e statali del capitalismo - malcontento individualista e collettivista
Il fallimento della Nuova Sinistra è un problema profondamente oscuro poiché il suo successo indossa la maschera del fallimento ed il suo fallimento indossa la maschera del successo: la Nuova Sinistra ha fallito proprio dove pensava di aver avuto successo; ed ha avuto successo precisamente dove pensava di aver fallito. Ma né il suo fallimento né il suo successo hanno avuto niente a che fare con l'essere parte della storia della sinistra, bensì, piuttosto, con il suo aver fornito la coscienza ideologica necessaria ad una destra rinnovata.
Per esempio, laddove la Nuova Sinistra pensava di aver attuato delle trasformazioni, con la più grande libertà, per quanto riguardava una molteplicità diversamente eterogenea di pratiche socio-culturali, di relazioni ed identità, per esempio, di "razza, genere e sessualità", contro quello che si supponeva essere un mortificante, oppressivo e perfino genocida conformismo sociale omogeneizzante, radicato nel lavoro industriale-capitalista, nei fatti ha spianato la strada ad una più diffusa e profonda partecipazione sociale al processo lavorativo capitalista su scala globale, che non ha reso aziende e governi più responsabili rispetto ai cittadini, ma bensì più elusivi come bersagli di azione politica.
Ben pochi oggi, dichiaratamente di "sinistra", affermerebbero che ci sia stato un grande progresso contro il capitalismo, e tanto meno verso il socialismo, a partire dagli anni 1960: quale che sia il "bilancio" fra "utili e perdite" nella passata generazione, la bilancia pende ineluttabilmente verso le perdite. Eppure, prevale purtroppo l'idea che "ora lo sappiamo meglio", vista come la conquista di uno sviluppo oltre la Nuova Sinistra.
Ogni generazione pensa di essere migliore rispetto a quelle precedenti. E' una tale assunzione di progresso, forse, il più pernicioso dei fenomeni ideologici della coscienza.
La metafisica della coscienza - il fatto che la coscienza trascenda il suo momento concreto empirico nel tempo e nello spazio - significa che la storia non costituisce meramente un registro fattuale di eventi, ma piuttosto che la pretesa "causalità" storica viene colta solo in bse alle variazioni nelle prospettive "teoretiche" circa le nostre pratiche in corso e la loro riproduzione nella società. La storia non è semplicemente un insieme di effetti accumulati, ma uno sviluppo della coscienza - o almeno dovrebbe esserlo, secondo Hegel. La questione è se ed in che modo lo sviluppo di pratiche sociali abbia facilitato, o piuttosto ostacolato e ritardato - forse perfino bloccato - l'ulteriore sviluppo della coscienza.
Perciò, che tipo di coscienza viene fornito dal lavoro di Moishe Postone, e come è stato afferrato dai seguaci di Postone? Cosa ci racconta a proposito della storia, a partire dal momento formativo della coscienza di Postone ad oggi?
La Nuova Sinistra degli anni '60
Si rende necessario caratterizzare il momento della Nuova Sinistra degli anno 1960. Che tipo di opportunità esistevano in quel momento?
Gli anni 1960 hanno visto la sempre più profonda crisi dello "stato sociale" keynesiano-fordista liberal-social-democratico. Negli Stati Uniti, che avevano fissato il modello per il resto del mondo, la coalizione politica "New Deal" guidata dal partito democratico cominciò a sfilacciarsi. Dapprima, il Movimento per i Diritti Civili minò i Democratici nel sud, i cosiddetti "Dixiecrats". Poi, il coinvolgimento militare nel Vietnam indebolì l'amministrazione del presidente Lyndon B. Johnson. Il Movimento per i Diritti Civili si era offerto per fare "parte della strada insieme a LBJ", nelle elezioni del 1964, nella speranza di negoziare uno smorzamento della protesta contro la guerra nel sudest asiatico, in cambio del sostegno di Johnson ad una legislazione sui diritti civili. La rielezione di Johnson aumentò le possibilità di una crisi del partito democratico, che l'aveva vista come un'opportunità per la sua trasformazione. Bayard Rustin scrisse che era necessario spostare il Movimento per i Diritti Civili "Dalla protesta alla politica" per rifare dei Democratici un partito di neri e di lavoro, costruito sul sostegno dei sindacati sia al movimento per i diriti civili che al nuovo movimento degli "Studenti per una Società Democratica". Questo non avvenne, ma invece la "Southern Strategy" dei repubblicani, cominciata nel 1964 ma realizzatasi pienamente nel 1968, riuscì a spostare gli elettori democratici del sud nel campo repubblicano. L'onda di cambiamento nella politica degli Stati Uniti può essere illustrata dal paragone fra le elezioni presidenziali del 1952 e quelle del 1968: se i democratici persero a favore di Dwight Eisenhower, il loro candidato, Adlai Stevenson vinse solo negli stati del profondo sud; nel 1968, il sud fu la base per la vittoria di Richard Nixon. Il piano di Rustin, che avrebbe dovuto significare un ringiovanimento della New Deal Coalition sotto condizioni diverse, fallì. I democratici, che erano stati il partito di maggioranza dal 1932, passarono sulla difensiva, mantenendo comunque la maggioranza al Congresso fino alla "rivoluzione repubblicana" del 1994 guidata da Newt Gingrich. I repubblicani erano stati il partito di opposizione fin dal 1930, come lo sono oggi nel 2014. I democratici sono rimasti quasi sempre il partito di maggioranza al Congresso. I repubblicani non hanno mai avuto simpatia per i piani occupazionali della presidenza che sono sempre stati sostenuti in maniera più o meno consistente dai democratici fin dagli anni 1930. Queste caratteristiche delle politiche della classe dirigente negli Stati Uniti hanno sempre condizionato qualsiasi pretesa "sinistra".
Negli anni 1960, essere di "sinistra" politicamente significava opporsi alla schiacciante maggioranza governativa democratica, e per di più a quello che veniva proclamato essere l'interesse della classe operaia e delle minoranze. La New Deal Coalition degli anni 1930, aveva realizzato una difficile alleanza della classe operaia bianca, inclusa quella del sud, con le minoranze etniche costituitesi nella città del nord, città che esplosero negli anni 60. A tal proposito, era stato solo negli anni 30 che i eri avevano cominciato a votare in gran numero per i democratici, dal momento che prima avevano sempre sostenuto i repubblicani, fin dal tempo della guerra civile e della ricostruzione. I neri vennero integrati nella New Deal Coalition dei democratici come un ulteriore circoscrizione elettorale etnica urbana del nord: Adam Clayton Powell personificò tale politica. C'era stata la Grande Migrazione dei neri, dal sud al nord nel periodo fra le due guerre e la sindacalizzazione fatta per mezzo del Congress of Industrial Unions (CIO), sia nel corso della radicalizzazione nel periodo della Grande Depressione che nell'industria di guerra degli anni 40.
A partire dalla metà degli anni 60, Johnson, che era assai più favorevole ai Diritti Civili di quanto lo fosse stato Kennedy, mentre avveniva la drammatica escalation della guerra in Vietnam, venne osteggiato come "fascista" dalla Nuova Sinistra emergente - come rappresentante dello Stato autoritario che sembrava impedire il cambiamento sociale invece di esserne uno strumento. La pressione del Movimento per i Diritti Civili sul Partito Democratico (come si vide nella protesta dei Mississippi Freedom Democrats alla convenzione nazionale del 1964) coincise col rischio militare che la Guerra Fredda divenisse calda nel sud-est asiatico.
Una nota sulla guerra del Vietnam: gli Stati Uniti passarono dalla guerra di Corea alla guerra del Vietnam nel tentativo di sostenere e mobilitare le Nazioni Unite della seconda guerra mondiale, dall'opposizione al fascismo a quella contro il "totalitarismo" comunista: gli Stati Uniti continuarono la guerra in Corea e nei 60 incrementarono la guerra in Vietnam come un'estensione delle strategie perseguite nel corso della seconda guerra mondiale e come una loro conseguenza immediata. La guerra civile greca stabilì il modello per la contro-insurrezione nel mondo post-bellico. Già in Corea, gli Stati Uniti ed i loro alleati portavano avanti contro-insurrezione, e non solo una guerra militare convenzionale. In Vietnam, la contro-insurrezione passò alla guerra convenzionale con le campagne di bombardamenti iniziate da Johnson e proseguite da Nixon. La forma di guerra portata avanti fece delle pressioni sullo "stato sociale" socialdemocratico keynesiano-fordista amministrato dalla New Deal Coalition del Partito Democratico. Tali pressioni erano di carattere politicho e socio-culturale. e posero le basi per la Nuova Sinistra.
L'alleanza del lavoro della New Deal Coalition con lo "stato sociale" impostava il modello per tutto il mondo nel periodo della Guerra Fredda, sia per i paesi capitalisti avanzati che per i nuovi stati indipendenti post-coloniali. Il suo dipanarsi impostò anche il modello storico e politico, per gli studenti ed i lavoratori scontenti, negli anni 60. Inoltre, il malcontento per il conservatorismo del blocco sovietico a partire dalla fine degli anni 50, portò ad identificare la New Deal Coalition e lo stato sociale democratico con lo stalinismo del "capitalismo di Stato" e col "socialismo di Stato", entrambi visti come compromessi politici che ostacolavano le nuove insorgenze "dal basso" negli anni 60. I problemi politici, sia del capitalismo che del socialismo, quindi erano stati identificati con lo Stato.
Le defezioni politiche identificate con la crisi della New Deal Coalition democratica coinvolsero non solo la disaffezione dei neri e di altri lavoratori, soprattutto fra i giovani, ma anche intellettuali istituzionali. Per esempio, il "neo-conservatorismo" fu un fenomeno di perdita di fiducia in un possibile successo della Guerra Fredda, perseguita dai democratici, sia in casa che all'estero. Molti ex-sostenitori ma anche ex-ideologhi democratici rifornirono il trust di cervelli per la politica repubblicana che si avvantaggiava della crisi. Fra le altre cose, ci fu un ex-assistente della Scuola di Francoforte, Daniel Bell, che dapprima sostenne e poi si oppose ai democratici sulla base della tecnocrazia non-ideologica.
A partire dai 60, un tale scontento con lo Stato post-bellico era di ampia portata, addirittura endemico, ed arrivava sia in basso fra gli emarginati che in alto ai vertici del potere governativo.
In Francia, il maggio 1968 segnò la crisi profonda dello Stato gollista dopo la seconda guerra mondiale. Cominciò come una protesta studentesca contro la segregazione di genere dei dormitori studenteschi - contro la repressione sessuale istituzionale-educativa - e crebbe fino a diventare una mobilitazione di massa di lavoratori e studenti contro lo Stato. E' stata considerata giustamente come una situazione potenzialmente rivoluzionaria. Ma è fallita politicamente. Molti della Nuova Sinistra francese sono diventati la Nuova Destra.
Moishe Postone lo ha caratterizzato come una crisi del "nuovo movimento sociale" che esprimeva malcontento contro il "capitalismo di Stato" come formazione storica. Si potrebbero far risalire le radici di tale formazione storica a prima del 1940 e della seconda guerra mondiale e prima della Grande Depressione degli anni 30, fino alla prima guerra mondiale e forse ancora prima, al XIX secolo e alle trasformazioni che ebbero luogo dopo la crisi del 1873, come ad esempio il dopo-guerra civile e la Ricostruzione e la "Presidenza imperiale" negli USA, le politiche bismarckiane in Germania, lo sviluppo capitalista finanziato dallo Stato in Giappone, fra gli altri fenomeni.
1968 e 1917
Postone attribuisce il "capitalismo di Stato" alla crisi della prima guerra mondiale e alla rivoluzione russa del 1917 e caratterizza i bolscevichi di Lenin e Trotsky come inconsapevoli strumenti del capitalismo di Stato. In tale prospettiva, per certi aspetti comune a quella che proviene dalla Scuola di Francoforte degli anni 1930, i socialdemocratici lasalliani, il fascismo, il bolscevismo di Lenin così come il leninismo apparente (leggi stalinismo), il keynesismo, partecipano tutti alla svolta che dal capitalismo del "laissez-faire" liberale porta al capitalismo di Stato del XX secolo, il quale entra in crisi al tempo della Nuova Sinistra degli anni 1960.
La crisi del capitalismo di Stato modernista ha portato, ad ogni modo, non al socialismo nel senso di Marx, ma piuttosto alla svolta neoliberista "postmoderna" del capitalismo avvenuta negli anni 1970-1980, che arriva fino ad oggi. L'idea di Postone è stata che il XX secolo fosse una forma "post-borghese" del capitalismo. Ma per la Scuola di Francoforte, era invece una forma in extremis della società borghese: come diceva Adorno, "il nuovo è il vecchio in difficoltà".
Nel punto di vista di Postone riguardo la rivoluzione russa, c'è un importante equivoco. Postone condanna l'Unione Sovietica ed il "capitalismo di Stato", non in quanto inadeguato ma perché fuorviante rispetto alle potenziali possibilità del socialismo. Ma un simile capitalismo di Stato era (e rimane) una forma di mediazione politica della classe operaia rispetto ai mezzi di produzione. Postone, nonostante la sua critica e la sua opposizione politica al comunismo sovietico, applica all'URSS il concetto di uno sviluppo progressivo, cosa che in Adorno, per esempio (o in Trotsky, nella sua critica dello stalinismo), non avviene. L'Unione Sovietica (così come il fascismo) potrebbe essere considerata come una forma decadente, barbarica, della società borghese, piuttosto di come cerchi di considerarla Postone, come "post-borghese". D'altra parte, Postone si pone (retrospettivamente) in opposizione ai bolscevichi di Lenin e Trotsky nella Rivoluzione d'Ottobre, dove invece Adorno e gli altri membri della Scuola di Francoforte sono a favore. Postone tratta questo loro sostegno come una combinazione di cecità teorica e limitazione storica - immaturità dei mezzi così come delle relazioni di produzione per il socialismo. Il carattere di quel "progresso" - in realtà, regresso - del capitalismo nel XX secolo sarebbe stato in ternini di avanzamento della contraddizione della forma merce del lavoro, e di come dare un senso, e lavorare politicamente su una tale contraddizione.
Il proletariato avrebbe avuto bisogno di essere costituito politicamente, soggettivamente, e non in un mero modo "oggettivamente" (economicamente). La forma merce del valore del lavoro avrebbe bisogno di essere costituita per mezzo dell'azione politica, ma una tale azione, oggi, come in qualsiasi momento a partire dalla rivoluzione industriale, si manifesterebbe come auto-contraddizione della forma merce.
La domanda è, cosa costituisce una "relazione sociale"? Essa va affrontata non come un fatto statico ma come un'attività sociale che si sviluppa nella storia. Postone risponde economicamente, ma non politicamente. In questo, segue il Capitale di Marx, che comunque è rimasto incompleto e quindi non mediato "fino in fondo" a livello della politica - come se Marx non avesse mai scritto nient'altro che indicasse la sua politica. Sì, la questione riguarda, come la pone Postone, non l'esistenza di una classe capitalista (cioè, proprietà privata del possesso dei mezzi di produzione), ma piuttosto l'esistenza di un proletariato, nel senso di una classe di persone che si relazione ai mezzi di produzione attraverso la loro attività sociale di lavoro-salariato. Questa classe esiste ancora, "oggettivamente" economicamente, ma la domanda è, come è mediata, oggi, politicamente?
Viviamo ancora nel capitalismo?
James Heartfield ha evidenziato come l'attuale "sinistra" consideri "oggettive" categorie come quella di "classe". Questo ha cancellato l'avverarsi di una politica riguardo al capitalismo. Se la classe operaia ha cessato di costituirsi come una classe "per sé", soggettivamente, allora questo ha influenzato la politica in generale. Inoltre, significa che la classe operaia non è costituita nemmeno come classe "in sé", oggettivamente. Per Marx, esisteva una dialettica soggetto-oggetto in atto - nella quale, in pratica, la soggettività era oggettivamente determinata, e l'oggettività era soggettivamente determinata - nella lotta della classe operaia per il socialismo.
Marx sottolineava come, dopo la rivoluzione industriale, la classe operaia poteva costituire la sua forza lavoro, come merce, solo collettivamente. E sottolineava anche che la classe capitalista era costituita in quanto tale, come capitalista, solo in opposizione alla domanda collettiva della classe operaia per il valore del suo lavoro. Ciò avveniva perché, come evidenzia Postone, per Marx le dinamiche del valore del tempo di lavoro erano diventate le dinamiche della società nel suo complesso. Per Marx, la contrattazione collettiva per il valore della forza lavoro misurata in tempo, non avveniva a livello sindacale nelle singole aziende, e nemmeno a livello sindacale a livello di interi settori produttivi, ma piuttosto a livello sociale sotto forma della lotta politica dei lavoratori per il socialismo. Senza una tale lotta, la classe operaia non era costituita come tale, e quindi neppure la classe capitalista lo era. Invece, come ha osservato Adorno verso la metà del XX secolo, la società è passata ad essere una guerra di "racket" ed ha smesso così di essere "società" nel suo senso borghese. La politica per Marx era "lotta di classe" - la lotta per il socialismo. Senza questo, la politica stessa, come Marx aveva compreso, smette di esistere.
In tal senso, dobbiamo affrontare la questione se viviamo o meno ancora nel capitalismo, così come i marxisti lo avevano storicamente inteso. Nel corso di un dibattito sulla "critica del valore" fra Jamie Merchant (Permanent Crisis http://permanentcrisis.blogspot.it/ ), Elmar Flatschart, di EXIT!, ed Alan Milchman di Internationalist Perspective ( http://www.internationalist-perspective.org/ ) ho posto la seguente domanda:
"Il neoliberismo può avere eclissato l'esperienza fordista, rendendola quasi esoterica, ma non è stato il fordismo, ed il nazionalismo da cui è inseparabile, a suo modo, ad assorbire i problemi più profondi del capitalismo? Elmar [Flatschart], tu metti in guardia sul "privilegiare" i lavoratori come soggetto rivoluzionario, ma sembri confondere il primo marxismo, in cui il ruolo del proletariato era caratterizzato negativamente, con lo stalinismo e la socialdemocrazia del XX secolo. Quale altro soggetto avrebbe manifestato l'auto-superamento del capitalismo "sulle basi del capitalismo stesso", come diceva Lenin in "Estremismo, malattia infantile del comunismo" (1920)?"
Elmar Flatschart: Marx aveva un concetto negativo di classe, in quanto la vedeva come immanente al capitalismo, e questo è evidente nell'approccio logico del Capitale. Ma poi trovi già nuovamente in Marx, ed anora di più in Engels, questo privilegiare politicamente la classe come un attore dell'emancipazione. Non c'erano altre questioni di oppressione, e quindi nessun'altra soggettività emancipatrice. Non c'è più un soggetto, ed è questo ciò che impariamo dalla Nuova Sinistra e dalla svolta postmoderna.
Jamie Merchant: Sì, il fordismo assorbe il capitale in molti modi, specialmente, nel contesto della Guerra Fredda, in termini di ruolo dello Stato-nazione. Ma il mio punto di vista è che fosse una forma di società nella quale appare la totalità sociale, e così l'idea di società diventa maggiormente corrente. Durante il periodo fordista c'era questa preoccupazione che l'individuo venisse assorbito nella totalità sociale e perdesse la sua individualità. MA si trattava solamente del capovolgimento della logica culturale del neoliberismo. Il punto è che differenti periodi di accumulazione danno differenti versioni della società e dell'apprensione per il "sociale"; la forma sociale appare in modi diversamente mediati. Regimi differenti di accumulazione possono portare a percezioni differenti di cosa sia la società, e potrebbero aprire nuove strade a nuove forme di politica.
Queste risposte sembrano piuttosto ottimistiche, soprattutto per quel che riguarda l'eredità della Nuova Sinistra degli anni 1960/1970, per non parlare del postmodernismo degli anni 1980/1990. Postone prende atto che mentre il marxiano tradizionale aveva affermato, e perfino aspirato alla totalità sociale del capitalismo, il vero socialismo l'avrebbe abolita. Ma la questione riguarda la sua trasformazione, la sua "abrogazione". Se il marxismo ha mai considerato il capitalismo come una "totalità", lo ha fatto criticamente, come una totalità di crisi, una crisi totale della società, che la lotta per il socialismo avrebbe migliorato, e non immediatamente superato. Ma la crisi è stata occultata, apparendo solo in fenomeni disparati, la cui interrelazione rimane occulta.
Postono ha mostrato la più chiara coscienza del malcontento degli anni 1960, intesa come la prima opportunità per superare il capitalismo, trascendendo le forme di politica proletariamente-costituite. Ma queste non sono state trascese, piuttosto sono state liquidate senz'appello. Per trascendere la politica proletaria, sarebbe stato prima necessario costituirla.
Continuiamo a pagare il prezzo per i fallimenti passati del marxismo, che sono stati naturalizzati ed ipostatizzati: reificati. In questo senso dobbiamo ancora riscattare Lenin. Dobbiamo ancora superare il capitalismo sulle basi del capitalismo stesso.
Chris Cutrone