di Giovanni Agnoloni
Si è molto parlato delle dimissioni di Benedetto XVI e del nuovo papa che deve venire. Siamo alla fine del pontificato di Joseph Ratzinger e alle porte di quell’interregno collegiale che accompagna il conclave, da cui uscirà il nome del suo successore. È il momento di interrogarsi su certe cose che non sono apparenti, ma che a mio avviso sono decisive per il futuro della Chiesa. Al di là della salute, pare plausibile che dietro la scelta del papa tedesco ci sia una “guerra” in corso tra fazioni opposte in seno alla Curia, con gli scandali veri e presunti della Chiesa, dalle storie di pedofilia a Vatileaks. Una scelta, la sua, che, pensando a Gesù – che dalla croce non è sceso – e a Giovanni Paolo II, rimasto fino alla fine nonostante le difficilissime condizioni in cui versava, non ha suscitato in me, d’istinto, particolare ammirazione.
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Tuttavia è necessario riflettere sul punto se questi siano i motivi veri della storica decisione del pontefice, o se ci sia dell’altro. Scendendo dal soglio pontificio, Benedetto XVI ci costringe a meditare sui limiti di una Chiesa strutturata verticisticamente e, in vari campi, arroccata su posizioni anacronistiche, se non illogiche (penso ad esempio all’uso del preservativo o alla condanna dell’omosessualità). Ma non è solo questo: ci obbliga anche a pensare all’urgenza di un nuovo approccio mistico alla vita, che proprio Ratzinger, finissimo teologo e conoscitore della cultura europea – apprezzato perfino da alcunifilosofi marxisti – ha lasciato emergere quasi in filigrana da vari suoi scritti e discorsi pubblici.
Il ruolo del papa non è facile. Lui è la persona che – con tutti i limiti che un uomo può avere – deve mediare tra le istanze (spesso anche discutibili) di un apparato di potere tra i più influenti del pianeta e l’esigenza intima e squisitamente spirituale di dar voce al Dio-di-dentro, a quel Gesù Cristo vivo – perché risorto – nel corpo e nell’anima di ogni uomo e nell’unione mistica di tutta la Chiesa. E si tratta del livello più delicato, perché questa voce interiore, questa presenza rigenerante di Amore, veicolata dallo Spirito Santo e presente ovunque, richiede un silenzio dell’anima che contrasta nettamente col rumore del mondo. E per raggiungere tale silenzio è necessario uscire dagli schemi consueti. Serve uno spiazzamento, una nota fuori dall’armonia – che Freud definirebbe perturbante – che scosti il velo dell’apparenza e dell’abitudine per lasciar balenare, anche solo per un attimo, un ordine diverso di cose.
Se Benedetto XVI avesse continuato a fare il papa in queste condizioni di innegabile “casino”, quella cortina sarebbe rimasta chiusa. Tirandosi indietro, l’ha aperta. Se sia stato un rischio utile o pericoloso, lo dirà il prossimo mese. Adesso sta ai cardinali elettori (che ci si augura non siano quelli macchiati di sospetti o più, in relazione alla copertura delle vicende di pedofilia). Loro, in questo vuoto politico, ma non spirituale, saranno come non mai chiamati a rendersi tramiti dell’azione dello spirito, auspicabilmente (e penso soprattutto, ma è la mia speranza personale, a quelli rappresentanti del Terzo Mondo) coalizzandosi per eleggere un uomo capace di riavvicinare a Cristo il cuore di quanti gli si sono chiusi anche, se non soprattutto, per gli errori commessi dalle teste pensanti della Curia romana.