Un diciassettenne massacra di botte (numerosi pugni e calci secondo il medico legale) un cittadino pachistano. I suoi amici e i suoi parenti invece di vergognarsi come ladri per essere amici e parenti di un assassino riempiono il quartiere di manifesti di solidarietà. E' o non è il punto più basso raggiunto dalla città? Speriamo di sì, significa che si potrà soltanto risalire. In realtà, spiace per l'assassino (o forse non spiace) l'unico modo per interrompere la spirale di violenza che, senza che la cosa ci sorprenda, si sta portando via la città è essere inflessibili sulle pene. Se il ragazzo tornerà a casa, se la cosa finirà in cavalleria, se la pena non sarà più che adeguata altri come lui si sentiranno nelle condizioni di poter liberamente menare le mani, ubriacarsi e andare in giro alterati, risolvere le controversie con le mani, con le armi, comunque con la violenza.
L'aria deve cambiare. Chi sbaglia paga. Se uno ti sputa in faccia e ti senti umiliato a tal punto da ucciderlo lo puoi anche fare, ma poi ti fai 30 anni di galera. Tassativi e senza attenuanti. Se passa questo principio un po' meno gente andrà in giro a fare la sbruffona, il tasso di pericolosissima prepotenza che aleggia in città potrà diminuire e attenuarsi. Certezza della pena. Ecco cosa richiamano questi vergognosi manifesti: la necessità di far capire a chi delinque, agli amici di chi delinque, alla comunità di chi delinque, ai parenti di chi delinque, al clan medievale di quartiere (lo stesso quartiere dove sei un "infame" se chiami "e' guardie" dopo un omicidio, e questo è successo a Tor Pignattara) che quando si delinque si paga. Punto. E poco cambia se hai dato un pugno o più di un pugno. Hai ucciso un uomo, stop. E la solidarietà ammanta l'omicidio di una sorta di premeditazione intrinseca. Non attenua la gravità del fatto. Lo stringersi attorno dell'omicida della community premoderna di quartiere, che ritenevamo propria di Napoli o tutt'al più del Laurentino 38 ma non certo di una zona tutto sommato centrale come Tor Pignattara (peraltro in parziale stadio di gentrificazione), rende più urgente e significativa la necessità di una pena esemplare.
E poi questa storia di solidarietà al contrario (si solidarizza per l'assassino reo confesso e non si lascia neppure un fiore sulla tomba della vittima, questo hanno fatto i "cittadini" di Tor Pignattara) pensatela appunto all'inverso. Pensate ad un ragazzo romano (uh, se ce ne sono) ubriaco e intento a fare lo sbruffone. Pensate ad un immigrato qualsiasi che lo colpisce e (per azzardo o meno) lo uccide. E pensate cosa sarebbe successo se la comunità - la community medievale, il clan come in questo caso - di quell'omicida straniero si fosse mobilitata in un sit-in. Sarebbe successa la guerra civile. Ebbene non diamo agli amici di un assassino la soddisfazione di accorgersi che vivono nella città che loro immaginano ormai definita, una città dove le leggi esistono a geometria variabile, mai per i proprio amici, mai per i componenti del proprio clan. Ecco perché anche su una condanna esemplare dell'assassino passa un pezzettino di dignità della città e di tentativo di raddrizzarne i cervelli. Ne va della concezione di città, di legalità, di rispetto che avranno di qui in avanti le generazioni coetanee a quella dell'assassino.
(foto Gabrielli-Troiati rubacchiate a Il Messaggero)