Odissea e denuncia storica. L’Akin che non ti aspetti
Kolossal che attraversa il mondo, Il padre diretto da un atipico Fatih Akin, mette in scena una brutalità storica (il genocidio degli armeni), ma, proseguendo nel suo viaggio, perde la bussola e si fa estenuante.
Agli albori della Prima guerra mondiale, Nazaret Manoogian, armeno cristiano, viene prelevato dalla sua casa e condotto ai lavori forzati dall’esercito ottomano. Scampato per miracolo alla strage del suo popolo, Nazaret riesce a tornare nella sua terra e scopre che le sue figlie gemelle sono vive. Da qui comincia l’erratico viaggio di Nazaret.
Fatih Akin abbandona i problemi dell’immigrazione in terra tedesca e si sposta in Turchia per denunciare il genocidio degli armeni (stranieri in terra straniera) e narrare la storia di Nazaret. Tuttavia l’impressione è quella di osservare un film che non appartiene alle corde del regista tedesco. Questo perché pare che si adagi eccessivamente su uno stile da kolossal americano, nel quale la figura del padre assume sempre più rilevanza empatica ed emotiva, via via che le tappe toccate da Nazaret si sommano.
Akin si districa tra gli sterminati deserti della Turchia, nelle stradine affollate di Cuba e si affaccia nel post-depressione degli Stati Uniti, esibendo un viaggio che svela e nasconde allo stesso tempo una perdita della fede in Dio e nella sua misericordia. Nazaret non solo esegue un viaggio alla rincorsa delle figlie perdute, ma anche una sorta di percorso spirituale che lo mette di fronte a prove sempre più ardue. Tragicità (le sequenze della prima parte mostrano in modo realistico e brutale la ghettizzazione armena della metà degli anni ’10) e sconforto sono gli stilemi più riconoscibili di un film che, persa la possibilità di parlare da parte del protagonista (da qui il significato del titolo originale, The Cut, il taglio sulla gola che gli fa perdere l’uso della parola), si appoggia necessariamente sulle capacità interpretative di Tahar Rahim. Nonostante tutto Rahim riesce a sorreggere in modo accettabile il peso che grava sulle sue spalle, ma si ha la sensazione che Akin esageri con una costruzione narrativa esasperante e sconfortante.
Difatti non si riconosce la mano del regista; in Il padre si concede dolly, grandi scene in aperto deserto, silenziose vedute e drammaticità “allungata”. Ne Il padre non si scorge il furore di un regista che in passato ha saputo graffiare e non adagiarsi sugli allori. L’impressione è quella di osservare una pellicola didascalica, storicamente ineccepibile, ma priva di furiosa passione. Abbandonando l’amata Amburgo, Fatih Akin ha ripiegato sulle sue origini, ma non ha trovato la giusta chiave di lettura per accattivare il pubblico, che non si aspettava tutto questo “mestiere”.
Uscita al cinema: 9 aprile 2015
Voto: **