Così diceva Bertolt Brecht e così mi piace ripetere anche a me: sarà che poi c'è sempre da essere cauti con la gente messa sopra a un piedistallo, sarà che spesso è uno sgarbo anche per chi è finito lì sopra. Guardate al nostro Risorgimento, guardate a come hanno ridotto anche il povero Garibaldi.
Sembra invece che gli eroi siano tornati di moda. La casa editrice Il Mulino ha deciso di dedicare loro perfino una collana: e non si tratta certo di una di quelle strampalate case editrici sedotte da guerrieri nordici, novelli crociati, stirpi divine.
E così ha titolato la copertina del Venerdì di Repubblica: Beato il paese che qualche eroe ce l'ha
Chissà, forse bisogna pensarci un po' sopra. Capire magari cosa si intenda davvero per eroe, e perché di tanto in tanto ne riaffiori il bisogno. Liberarsi certo anche dai paraocchi di ideologie che magari i monumenti li hanno innalzati lo stesso, assegnando le qualità dell'eroe alle masse o alla razze o alla Storia con la esse maiuscola.
Però c'è anche eroe ed eroe. E non bisogna essere allergici al politically correct per comprendere che dipende soprattutto da noi: perché siamo noi a inchinarci al culto della personalità o a poter alimentare la vitalità dei buoni esempi.
Come leggo nell'articolo di Michele Smargiassi sul Venerdì, l'eroe è un uomo ben riuscito. Ed è anche un uomo, un uomo fragile.
Eroi sì, ma non immortali. Ogni Achille ha un tallone, ogni Superman una kryptonite. Sono fragili, hanno bisogno del nostro sostegno. Sfortunato l'eroe che ha bisogno di un Paese