Mario Calabresi scrive delle cose condivisibili. Il nostro è un Paese che non ha mai smesso di guardare al passato piuttosto che scrutare l'orizzonte. Senza generalizzare, per carità, ma l'impressione è che ogniqualvolta si ottiene un risultato quest'ultimo sia frutto di una serie di casualità a noi favorevoli. Anche il discorso di Prandelli di ieri contiene riflessioni altrettanto condivisibili. Meno condivisibile è la retorica che si è sviluppata attorno alle sue parole e Mario Piccirillo
lo spiega benissimo su
T-Mag. Le scelte coraggiose e innovative di Prandelli sono in verità figlie del momento (in Italia, per dire, abbiamo tanti buoni giocatori ma non sforniamo campionissimi da diversi anni) e lui stesso ha riconosciuto, forse contraddicendosi un po', una certa ritrosia a far fuori nella partita decisiva i giocatori acciaccati per un senso di gratitudine – tipicamente italiano – verso coloro che ci avevano portato sin qui. Ma quello che manca al Paese, secondo me, è ancor di più il coraggio, autentico, di prendere decisioni impopolari. Fateci caso: non è quello che si rimprovera a Monti? Finalmente (suona male, ma la dice lunga sullo stato della nazione) c'è un esecutivo che svincolato dal mandato popolare può occuparsi di faccende che un altro governo neppure sfiorerebbe e noi lo critichiamo, naturalmente dopo averlo invocato a lungo. Il nostro è il Paese in cui tutto cambia perché nulla cambi. Nel libro di Sabino Labia (che
ho intervistato qualche giorno fa),
Onorevoli! Le origini della casta, viene citato un articolo dello scrittore e giornalista
Guido Piovene. Vale la pena riproporre questo passaggio:
Il fosso tra il Parlamento ed il Paese si sta allargando a vista d’occhio. Quel distacco si vede nell’enorme distanza tra i problemi reali che gravano sul Paese e i problemi che invece interessano chi governa. I problemi reali: le numerose industrie e i cantieri in crisi, la scarsezza di investimenti, la disoccupazione in aumento, gli scioperi, lo stato delle scuole, eccetera. Ed invece i problemi dell’Italia ufficiale sono: come mantenere, a ogni costo, l’unità d’un partito; come accontentare i notabili; come procacciarsi voti; come insomma tenere in piedi il più a lungo possibile un castello di carte. In questa cerchia artificiale, da un giorno all’altro, si buttano a mare programmi che sembravano fino a ieri la ragione stessa di vivere di coloro che ci governano; vediamo, con un rovesciamento fulmineo, mutarsi in minoranza (obbediente) quella che fino a ieri era la maggioranza nel partito al potere. Ma l’intero rimane uguale, perché deve rimanere uguale.
Quasi dimenticavo un particolare importante: l'articolo di Piovene fu pubblicato sul settimanale
Epoca nel febbraio del ‘59.