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Una settimana di “Vergognamoci per lui” (177)

Creato il 10 maggio 2014 da Zamax

Un giorno di gogna non fa male a nessuno. Come dicono i filosofi più in gamba, è tutta esperienza. Su GIORNALETTISMO.COM

MARIO CALABRESI 05/04/2014 Piccole miserie dal profondo dell’Italia bigotta. Alcuni lettori de “La Stampa” sono indignati: sul quotidiano torinese i giornalisti continuano ad usare per Berlusconi l’appellativo di “Cavaliere”, benché il Cavaliere non sia più un Cavaliere del Lavoro! Ma pensa un po’! E’ chiaro che neanche i giornalisti antiberlusconiani credevano in cuor loro a questa barzelletta del Cavaliere privato del grado e dell’onore. E quindi se ne sono subito dimenticati. Ma si sono anche dimenticati di aver allevato col tempo con le loro bubbole seriose un parco lettori di bacchettoni che al patriottismo costituzionale fondato sulla Resistenza hanno sacrificato oltre al senso dell’umorismo anche il buon senso tout-court. A questi zeloti tale “svista” non poteva sfuggire. Il direttore è stato perciò costretto ad ammettere la verità: «nessuno ha mai chiamato Berlusconi “Cavaliere” pensando all’onorificenza (…) si scrive Cavaliere, come per Gianni Agnelli si diceva l’Avvocato o per Carlo De Benedetti si dice l’Ingegnere.» Poteva chiudere qui, con sommo ritardo, ma abbastanza virilmente. Invece no: «Capisco però che ciò oggi può apparire come una nota stonata e per questo ci faremo più attenzione». Così ha scritto per tenersi buoni i piccoli-filistei.

TONI SERVILLO 06/04/2014 Intervistato dalla FAZ, l’austero Corrierone teutonico, l’acclamato attore, rappresentante di quella napoletanità particolare, superiore, scettica ed elegante che ha in uggia tanto i lazzaroni quanto i dottori in filosofia, ha detto che il nostro paese è il più bello e corrotto del mondo; che una parte del nostro popolo si identifica con la barbara superficialità di Berlusconi; che il Berlusca è un intrattenitore che riempie i buchi della politica; che la sua sfacciata volgarità è una forma di priapismo politico; che questo priapismo l’abbiamo già conosciuto nel secolo scorso; che il Berlusca si presenta come l’uomo della provvidenza, come fece in passato Mussolini; e che il berlusconismo, come il fascismo, è una forma di istupidimento morale. Da ciò si capisce che in effetti Servillo è un attore, non un originale autore di commedie: solo uno come lui poteva infatti servire ad un giornalista di stanza in Italia, e precisamente in quel di Venezia, sia pur tedesco come il mitico Martin Schulz, una minestra riscaldata un milione di volte, tratta pari pari dall’articolo 1 del catechismo della società civile, con la disinvoltura del venditore ambulante di gondolette di plastica reso immortale da Brunetta il Grande. Per fortuna, ha continuato Servillo, che col successo lasangelino de “La Grande Bellezza” l’Italia ha superato la Francia nel conteggio degli Oscar per il film straniero: un dato positivo che rincuora lo spirito patriottico. Una riflessione finissima direi, di alto spessore culturale, che potrebbe sembrare berlusconiana nella meschinità contabile se non fosse riscattata dal lampo d’orgoglio mussoliniano caro a chi ha a cuore le sorti della nazione.

LA NUOVA MAGLIA DEL MILAN 07/04/2014 La nuova maglia dei rossoneri è talmente stravagante che nella foto ufficiale di presentazione, per non ferire troppo l’occhio di un tifoso sì seviziato da lustri da altri capolavori dell’arte contemporanea, ma tuttavia non ancora sufficientemente temprato, si è pensato bene di farla indossare a tre dei giocatori più pittoreschi della già piuttosto stramba famiglia rossonera: forse solo il trio Balotelli-Mexes-Berlusconi avrebbe potuto fare di più per attutirne l’impatto. Nella foto El Shaarawy sfoggia un mezzo sorriso ma l’allarmata cresta, che gli s’impenna per mezzo metro di altezza sul cranio, simile a quella di un gatto appena scontratosi per caso con un alano girando l’angolo di una strada, denuncia chiaramente che non si è ancora riavuto dallo shock; il moro De Jong esibisce con barbaro, ieratico e regale orgoglio la testa pelata, il pizzetto, e la pelle istoriata dai tatuaggi: gli basterebbe una cura di steroidi per essere pronto per il ruolo dell’arponiere Queequeg in una nuova produzione di Moby Dick; il terzo è Honda, il giapponese longilineo dalla zazzera rifulgente come gli ottoni dell’orchestra. Schermato prudentemente dall’effetto subliminale di questa simpaticissima combriccola, l’occhio potrà allora fors’anche apprezzare il nuovo pigiamino rossonero: il girocollo coi bottoncini, la nera rigona centrale e le pochissime righe nere, e le invece numerosissime e stinte righe, righette e righine rosso bordeaux, rosso tiziano e rosso mattone. Una volta per noi rossoneri quel nero-nero ortodosso e quel rosso-rosso ortodosso che si davano affettuosamente ma compostamente la mano come una coppia di sposini – io Tarzan, tu Jane – costituivano una poesia, una fede, una pietra d’angolo, «certezza di cose sperate», per dirla con l’Apostolo. Adesso veramente non si capisce più un kaiser. I fondamenti della fede vengono scossi da nefandezze d’ogni genere. Tutto era già irregolare, dalla larghezza delle righe, alla loro distribuzione, agli eccepibili colori. Oggi siamo arrivati all’arcobaleno dei toni, alla maglietta transgender: guarda Silvio che non ti voto più!

ANGELO CIOCCA 08/04/2014 Basta una visita veloce al suo sito personale per capire che il consigliere regionale del carroccio lombardo si diverte un mondo a fare politica. Ciocca è la politica sul territorio in tutto il suo splendore atletico: pacche sulle spalle, presenzialismo, foto, comparsate televisive, strette di mano, iniziative pittoresche a ciclo continuo, cartelli, musichette, ed un largo sorriso da giovanottone prestante, belloccio, simpatico, sollecito, fattivo, instancabile, alla mano. Un vero e proprio Figaro: Ciocca di qua, Ciocca di là, Ciocca è il factotum della città! E io non disprezzo affatto Ciocca. Io, che sono di natura contemplativa, cioè naturalmente stupido, ci ho messo decenni per capire che il politico di razza prima si muove, poi si mette a pensare: se non sei un fenomeno, il tempo di reazione ai blocchi di partenza è tutto, come sui 100 metri. Lui lo ha capito al volo, senza neanche pensarci. Con questi scoppiettanti presupposti non stupisce perciò che da candidato leghista alle europee Ciocca si sia subito fatto notare per il suo dinamismo ingombrante e fracassone grazie ad uno «spot rivoluzionario che farà discutere» (Ciocca dixit): cinque immigrati provenienti dal continente indiano e dall’Africa, da lui arruolati, che si spendono in appelli accorati ai loro compatrioti a non venire in un paese di morti di fame come l’Italia. Io però sono un po’ inquieto. Non vorrei che i loro compatrioti equivocassero e si arrabbiassero: i cinque danno le spalle a nude e grigie pareti e, a parte uno stranamente allegrotto se non alticcio, non sembrano affatto convinti, anzi, sembrano spauriti come prigionieri di guerra o come ostaggi in mano ad un gruppo di terroristi in vena di dichiarazioni “spontanee”. Insomma Ciocca, dovevi motivarli di più, intervistarli all’aria aperta, tra la gente. Non è che adesso ci becchiamo gli osservatori dell’Onu?

CONCHITA WURST 09/04/2014 Non tutto il male viene per nuocere. Per esempio: l’Eurovision Song Contest. E’ il momento in cui noi italiani scopriamo, con grande sollievo per il nostro esacerbato amor proprio, come vi possa essere effettivamente al mondo qualcosa di più cretino del Festival di Sanremo. Quest’anno poi l’Eurovision Contest promette faville. Gli indizi ci sono tutti. Abbiamo già visto Emma Marrone trasformarsi in una copia in 3D di Britney Spears, dai capelli al trucco, dalla microgonna aderente agli stivaletti passando per l’elemento fondamentale, finché non sparirà anche quello: le mutande. Ma soprattutto è sintomatico che a rappresentare un paese come l’Austria – una Germania sopportabile, assennata ma godereccia, molle, cattolica, nota per divertirsi con decoro e levità, avulsa nella trasgressione dalle pesantezze teutoniche, patria della musica sciocca e salottiera, del valzer, e soprattutto delle vedove allegre – che a rappresentare l’Austria, dicevo, ci sia un mostro: Conchita Wurst, la drag queen barbuta. Conchita è l’alter ego e la massima creazione artistica di Tom Neuwirth, un giovanotto che pare non abbia nessuna intenzione di cambiare sesso. Tuttavia Conchita parla di sé al femminile; si considera di genere neutro; e sfoggia una barba corvina: il risultato estetico è una spigolosa Amy Winehouse con la barba. Visto che in rete non ho trovato spiegazioni, sul nome scelto per questo mostro ho una mia teoria: “wurst”, che in tedesco significa salciccia, evoca l’immagine dell’uccello: uccello nel senso di pistolino, pistolino nel senso di minchia; mentre “concha” (“conchiglia” in spagnolo) in America Latina prende anche il significato di passera: passera nel senso di bernarda, bernarda nel senso di topa. Mica male, vero? A me non la si fa! Con mia grande sorpresa con la cultura di genere sto facendo progressi notevolissimi. Non credevo che fosse così divertente.


Filed under: Rubrica Giornalettismo Tagged: Angelo Ciocca, Conchita Wurst, Eurovision Song Contest, Mario Calabresi, Milan, Silvio Berlusconi, Toni Servillo

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