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Il Pakistan chiede di bloccare l'uso dei droni per facilitare i lenti colloqui con i talebani
Creato il 05 febbraio 2014 da Danemblog @danemblogQualche tempo fa, un'importante fase degli incontri era saltata a causa dell'attacco di un Uav che aveva colpito e ucciso Hakimullah Mehsud, il leader talebano (attualmente sostituito da "Radio Mullah" Fazlullah), e su cui il ministro dell'Interno Chaudhry Nisar aveva commentato «Il governo del Pakistan non vede questo attacco come un attacco su un individuo, ma sul processo di pace».
Ma i negoziati viaggiano a rilento. C'è aria di scetticismo, e secondo la gran parte degli analisti internazionali, il governo non otterrà niente dai colloqui - e gli Stati Uniti sono, ovviamente, a conoscenza di questa situazione.
Le ragioni principali sembrano legate a tre aspetti. In primo luogo la riluttanza del primo ministro Sharif a confrontarsi militarmente con i ribelli, nonostante l'ondata di rabbia contro i talebani della popolazione locale. Secondo punto: sembra difficile che i combattenti permetteranno l'applicazione della Costituzione (e della democrazia) nelle area da loro controllate, così da rendere complesso - se non impossibile - il passaggio del comando al governo centrale. In ultimo, un problema legato alla composizione delle squadre dei negoziatori. Il capo negoziatore del governo, Irfan Siddiqui, si trova davanti una delegazione composta non esattamente da un comitato nominato all'interno delle fila dei ribelli, ma da figure religiose ultraortodosse (per altro tutte a favore della sharia, che i talebani vorrebbero applicata in tutto il Pakistan).
A quanto pare però, lo stallo serve ad entrambe le parti - ragione in più per cui il governo ha chiesto agli Stati Uniti di rallentare con i drone strikes. Guadagni a breve termine, sia chiaro: dal lato del governo si mira ad ottenere una momentanea sospensione degli attacchi (che nel solo mese di gennaio avrebbero già prodotto la morte di un centinaio di persone, molte delle quali soldati); da quello dei talebani si può usare il trascorrere dei giorni come leva per richiedere la liberazione di diversi combattenti detenuti, ma soprattutto per guadagnare tempo verso la data in cui le truppe Nato lasceranno l'Afghanistan.
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