Anna Lombroso per il Simplicissimus
Riso amaro. No, non il film. Ma quello che suscitano le rare notizie che ci vengono somministrate con cautela su richieste ridicole, raccomandazioni deliranti, imposizioni tiranniche, invadenze moleste, intrusioni criminali, azionate da “fuori” e che condizionano le nostre esistenze per forgiarle su un modello, un format nel quale c’è spazio solo per fidelizzazione, ubbidienza, conformismo, e per ordini, regole, standard grotteschi che sembrano provenire da un’amministrazione di matti compulsivi, da un’accademia di scienziati demenziali come quelli di Laputa che discettano di una “geografia insolita e crudele”: personaggi distratti, arroganti e strabici, con un occhio rivolto verso il basso e l’altro sempre a fissare lo zenit perché vivono ormai in un mondo completamente distaccato dalla quotidianità, perennemente con lo sguardo al cielo. E che non amano essere contraddetti: costantemente intenti nelle loro “speculazioni” teoriche, hanno la tendenza a non prestare attenzione e a non ascoltare eventuali interlocutori.
Peccato che da quell’isola volante dettino proprio a noi comandi tassativi, imperativi categorici e misure drastiche. Misure in senso proprio, se, come ha ricordato qualche giorno fa Luciano Gallino, l’Europa non solo ci toglie il pane, ma quel poco che ci lascia lo vuole modellato “a modo suo”. Nell’accordo sottoscritto tra l’Eurogruppo e Tsipras il 12 luglio, si fa infatti obbligo ai panificatori greci di cambiare pezzature e peso dei prodotti da forno, la cui foggia viene fatta risalire alla Dea Demetra, per uniformarsi a una precisa indicazione dell’Ocse pensata proprio come a Laputa, in modo da promuovere la necessaria “armonizzazione” anche delle pagnotte e per favorire la liberalizzazione del settore, in modo che filoni, pita, filoncini, possano essere venduti ovunque, dal parrucchiere, dal ferramenta, in profumeria.
Dovevamo sospettare che saremmo giunti a questo, che il processo degenerativo del “sogno europeo”, convertito in incubo avrebbe prodotto aberrazioni e distorsioni anche là dove sembrava che l’unificazione avesse cambiato in meglio le nostre vite, permettendoci di attraversare una frontiera senza formalità, di collegare un asciugacapelli o un pc all’estero senza doversi dotare di un arsenale di spine e adattatori, di ritirare contante da un bancomat. Peccato quindi che adesso i confini, ma mica è colpa dell’Ue, debbano essere segnati da muri e filo spinato, peccato che in gran parte dei Paesi stiano entrando in vigore provvedimenti che limitano la libertà d’espressione in rete, incrementando le procedure di controllo di computer, tablet, smartphone, peccato che il controllo telematico dei consumatori abbia raggiunto una perfezione mai sognata da Stasi e Kgb, peccato che i nostri conti correnti siano dissanguati e che probabilmente anche da noi sarà presto opportuno svuotarli i bancomat di quel pochissimo che ci resta.
Peccato che l’ossessione burocratico-amministrativa dell’Ue, le sue deliranti contabilizzazioni, non siano una patologia, che certe decisioni non siano incauti occasionali incidenti e errori accidentali di qualche funzionario maniaco-depressivo, bensì i pilastri su cui si regge la grande Azione Parallela dell’imperialismo finanziario, messa in pratica per mettere sotto tutela stati e popoli, per aiutare la progressiva erosione del senso civico dei cittadini, intimiditi, ricattati, spaventati come analfabeti di fronte a leggi, regole, raccomandazioni, prescrizioni, ammutoliti e impotenti davanti a autorità, organismi, sigle, enti.
Certo sarà stata effettuata una selezione del personale per scegliere efficienti kapò della calcolatrice e statistici killer, certo l’intento è quello di favorire le lobby, anche quelle più improbabili dei signori delle galline ovaiole, delle multinazionali delle banane con un certo grado di curvatura, dei boss del merluzzo rosa, dei coltivatori di cetrioli che devono obbligatoriamente essere ben eretti e a questo proposito mi fermo qui per non indulgere a battute triviali sugli attributi dei premier europei, inclusa la signora Merkel.
Ma c’è anche dietro alla pretesa armonizzazione l’indole a punire le nostre inclinazioni dissipate che vogliono a tavola banane e cetrioli ingobbiti dalla natura, che non amano spostare avanti e indietro due volte l’anno le lancette dell’orologio, che pretenderebbero di mangiare innumerevoli varietà di pane, che preferirebbero quando gli si domanda l’iban non dover sciorinare un numero con 2 cifre per il paese, 2 lettere – codice , 2 cifre come numero di controllo da parte delle banche, 1 lettera di controllo CIN, 5 cifre del codice ABI della banca presso cui è acceso il conto, 5 cifre del codice CAB della banca presso cui è acceso il conto, 12 cifre per numero di conto del beneficiario, un enigma pensato per accontentare quel mostro mortale chiamato semplificazione, che paradossalmente moltiplica i controlli in modo da escludere sempre di più i cittadini e favorire l’ingerenza dei soggetti finanziari e economici.
Il perseguimento del deficit democratico tramite deficit o meglio fallimento finanziario pegli stati e dei popoli, con la definitiva perdita di sovranità, passa da un processo di rieducazione di oltre cinquecento milioni di persone, le cui esistenze devono essere regolamentate a livello centrale e standardizzate da un regolamento che verte su tutto, dalla dieta consigliata, ai partiti raccomandati, dall’arsenale di armi che è doveroso possedere, alle guerre da dichiarare fino ai livelli di umanità consigliabili nel caso ci si imbatta in un profugo, tema quest’ultimo sul quale la furia “amministrativa”, banale come sempre è l’ossessiva pretesa di organizzare e gestire gli uomini come fossero bestiame o merce, o meglio ancora, rifiuti, si accanisce.
Resta da interrogarsi su come le persone e così tante, si rassegnino alla propria interdizione da parte di un mostro ibrido che con autorità assoluta e coercizione pedagogica vuole imporci con astuzia e perseveranza il suo progetto di cancellazione di tutto quello per il quale molti e troppo presto dimenticati, hanno combattuto, compresa l’idea di una unione di ideali, di popoli, di civiltà eterogenee, che alcuni chiamavano semplicemente democrazia, altri socialismo. Qualcuno la chiamava Europa ma già quel manifesto che la illustrava mostrava i modi e le strade da percorrere per tradirla. A riprova che perfino chi si è conquistata con le sue mani la possibilità di realizzare un’utopia, può concorrere a costruire la distopia, il suo contrario, l’incubo al posto del sogno.