Giovanni aveva avuto il suo primo attacco di panico mentre si trovava in riunione con alcuni colleghi di lavoro: improvvisamente aveva avvertito un forte senso di estraniamento, vertigini e il fiato aveva cominciato a farsi corto. L’istinto era stato quello di alzarsi, andare di corsa in bagno per sciacquarsi il viso aspettando che quella terrificante sensazione svanisse.Da quel momento aveva cominciato ad avvertire ansia anticipatoria tutte le volte che un impegno lavorativo lo costringeva a trattenersi per molto tempo in un luogo chiuso. Non riusciva più a concentrarsi sulle sue attività ma esclusivamente sui suoi parametri fisiologici (battito cardiaco, respiro) cercando di controllarli e di prevenire un altro episodio di panico. Ma come si fa a controllare il battito del cuore? E’ un paradosso. Più si cerca di fare in modo che sia “regolare” temendo che impazzisca, più questo sembrerà fuori controllo e, in un circolo vizioso, in preda alla paura, non farà che accelerare sempre di più.
Giovanni racconta che la sua paura più grande è quella di svenire ma quando gli chiedo se sia mai svenuto risponde di no. Nonostante questo, si mostra terrorizzato dall’ipotesi che, quando meno se lo aspetta, il panico si faccia di nuovo vivo. Mi parla dei suoi pensieri fissi che iniziano sempre con “E se…?”: “E se mi succede al supermercato? E se mi succede al cinema?“. La vita di tutti i giorni ha cominciato ad apparirgli sempre più pericolosa. Giovanni segnala la sua tendenza ad evitare tutte le situazioni che stima potenzialmente ansiogene e, anche esperienze quotidiane del tutto banali (ad esempio recarsi all’ufficio postale) iniziano a fargli venire il batticuore. Durante le sedute faccio riflettere Giovanni sul fatto che questo meccanismo “a valanga”, ovvero il fatto di evitare un numero sempre maggiore di situazioni, è tipico dell’ansia e se trascurata porta inevitabilmente il soggetto a isolarsi, a chiudersi letteralmente in casa (unico posto in cui ci si sente al sicuro).
Come intervenire? Con Giovanni si sono utilizzati esercizi ad hoc per “incontrare” l’ansia ed “evitare di evitare“. Inoltre si è dato un nuovo volto ad un disagio che viene percepito come un nemico pericoloso dal quale darsela a gambe. Perché non cominciare a visualizzare l’ansia come il tipico “can che abbaia ma non morde?”. Sì, perché il panico instilla in noi la paura che possa presentarsi quando meno ce lo aspettiamo ma alla fine, se ci pensiamo, non è poi così pericolosa. L’ansia vi ha mai fatto svenire? Immagino di no. E tanto meno credo vi sia successo di perdere i sensi in seguito ad un attacco di panico.
L’attacco di panico è come un burlone che si mette dietro ad una porta per urlarci improvvisamente “bu bu settete”. Abbiamo paura perché non sappiamo dietro quale porta si nasconderà ma alla fine non ci farà del male. Continuando sulla scia di questa metafora possiamo dire che un utile intervento psicoterapico è quello che aiuta il paziente a non aver paura di aprire le porte (quindi di affrontare le situazioni) ma a dire al panico “Dai, sono qui: vieni a farmi paura!”. Come reagirebbe una persona estremamente dispettosa nei vostri confronti se gli apriste le porte di casa e, sedendovi comodamente sul divano, gli chiedeste esplicitamente di farvi tutti i dispetti che vuole? Insomma, il panico è come quel gradasso che smette di essere tale quando si accorge di non intimidire più le sue “vittime”.
Giovanni ha dato un nuovo volto al panico: gli piace rappresentarselo come “Zio Paperone”, personaggio che appare cinico e senza scrupoli ma che in realtà dimostra in molte occasioni di essere un buono. Questo gli consente di sentirsi più forte della paura e di affrontare le situazioni del quotidiano con ironia. E voi che volto date alla vostra ansia e/o panico?
Fonte: F. Bianchi, S. Scala, One minute panic strategies – Liberi dal panico, Tecniche da un minuto per riconquistare la tua vita e la tua libertà, Uno Editori, Pinerolo.