"Nessuno ha mai visto il bandito Giuliano" (L'Europeo, 13 luglio 1947)
Per mettere la mordacchia e impedire ogni discussione, qualcuno ha inventato la storiella che i miti popolari non muoiono mai. Anche se non sono miti ma diavolerie, il bollino del mito aggiunge all’oggetto che ne deriva, la qualità di essere inviolabile. Difficile da smontare. Ma io non sono affatto sicuro che il popolo si sarebbe bevuto per decenni una bevanda impotabile o che sarebbe stato disponibile a fare di un criminale un santo. Perciò, quando nei miti si aprono falle, il popolo le amplifica e piano piano lascia intravedere i punti deboli, i falsi inverosimili. O l’artificio. Così, checché ne pensino certi studiosi, abituati a usare gli autori di cui si servono, a loro piacimento, la questione che essi pongono sulla morte di Giuliano, è priva di alcuni elementi. Uno tra tutti. Il più importante: ci fu o no una trattativa da parte di Giuliano con lo Stato per salvarsi la pelle? Già nei due post precedenti (“Di sicuro c’è solo che forse è morto” e “Quell’ultima notte di Turiddu”) abbiamo cercato di inquadrare il problema. E siccome zucchero non guasta bevanda è bene che qui di seguito si mettano ancora meglio in sequenza le tappe di quella che appare come una vera e propria trattativa. Fatta non a tavolino, naturalmente, ma a colpi di mitra e agguati al tritolo.
- Dopo Portella della Ginestra e gli assalti alle sedi della sinistra, Giuliano comincia a richiedere il rispetto dei patti stipulati soprattutto con quanti hanno il potere di mantenerli. E cioè i democristiani. Ma i tempi sono lunghi e Giuliano non ha pazienza.
- Il primo a cadere è il colonnello Luigi Geronazzo, braccio destro dell’Ispettore di Ps Ettore Messana. E’ ucciso, mentre rincasa, la notte del 29 novembre 1947. Di lui il senatore Girolamo Li Causi scrive: “…soldato valoroso fino all’ingenuità, credeva che i banditi si affrontassero allo stesso modo con cui si affrontano i soldati”. Individuati i favoreggiatori del delitto si scopre che sono confidenti dell’ispettore di Ps. Ettore Messana. Come Salvatore Ferreri, che aveva sparato a Portella della Ginestra,
- Tre mesi dopo, il 22 febbraio 1948, tocca all’avvocato Vincenzo Campo, vicesegretario regionale della Dc e candidato alle elezioni nazionali del 18 aprile 1948. Mentre si trova “sullo stradale Alcamo-Castelvetrano, a pochi chilometri oltre l’abitato di Gibellina, in direzione di Sciacca, è colpito da una raffica di mitra.
- A luglio dello stesso anno alcuni colpi di arma da fuoco sparati in piena piazza, al cospetto di tutti, colpiscono il capomafia di Partinico Santo Fleres, referente principale della Dc locale e membro di collegamento con le alte sfere politiche romane. Il delitto rimane ancora a oggi senza un perchè e senza colpevoli. Ma è sicuro che nella cittadina non si muove foglia senza il consenso del patriarca locale. Fleres, appunto.
- A dicembre tocca a un uomo di fiducia di Fleres, Carlo Guarino con il figlioletto di tre anni e un altro confidente, Francesco Gulino.
- Esattamente un anno dopo, nel luglio 1949, è pugnalato alla schiena e finito a colpi di lupara, il segretario politico della Dc di Alcamo, Leonardo Renda, compare dell’onorevole Bernardo Mattarella, già ministro democristiano e fondatore del partito di Sturzo in Sicilia. Gaspare Pisciotta, il luogotenente del bandito Giuliano, lo aveva accusato di essere uno dei mandanti della strage di Portella della Ginestra. I banditi lasciano il suo cadavere in mezzo alla strada con la carta di identità posata sul petto. A significare che la persona colpita rappresenta un’altra vera identità: quella di un politico che non ha mantenuto la parola data. L’ipotesi più fondata, anche attraverso gli atti processuali, è che i banditi, vedendo che non erano state mantenute le promesse di libertà e di restituzione al consorzio civile in cambio dei voti procurati alla Dc, si siano vendicati. Materia scottante, questa, se è vero che il commissario di Pubblica sicurezza, dottor Carbonetto, che aveva avviato le indagini, è trasferito in Sardegna.
- Lo stillicidio di tutti questi delitti non porta a nessuna apertura nei confronti del capobanda, e Giuliano capisce che deve alzare il tiro se vuole ottenere qualcosa. Perciò, quando ad agosto 1949 avviene il passaggio di consegne dal vecchio Ispettorato di Pubblica Sicurezza al Comando Repressione Forze Banditismo (Cfrb) del colonnello dei CC. Ugo Luca, il bandito è pronto a dare la sua risposta. Organizza la strage di Bellolampo. E’ il 19 agosto 1949. Una colonna di autocarri militari in località Passo di Rigano è colpita dall’esplosione di una mina collocata in una buca scavata lungo il passaggio di un’autocolonna militare. Salta in aria un convoglio. I morti sono sette e i feriti diversi.
Ma Giuliano non ha dalla sua parte soltanto le promesse fatte e non mantenute. Ha il memoriale autentico (altri due erano stati scritti sotto dettatura ed erano stati consegnati ai giudici di Viterbo) dove è annotata la carriera criminale del bandito. A partire, appunto, dal 1943. E’ questo memoriale l’oggetto del contendere.
In definitiva lo Stato potrebbe avere ceduto, ma non per fatti analoghi a quelli ai quali avremmo assistito in tempi più recenti a proposito del cosiddetto “papello di Totò Riina”, ma per via dell’esistenza di un documento che, stando a Pisciotta, è il vero fatto temibile da parte di molti personaggi. In Italia e all’estero.
E’ in questo momento che le cose prendono una piega diversa. Giuliano comincia a fare la sua spola tra Castelvetrano e Palermo; rientra sotto la protezione dell’Arma. Secondo una testimonianza va a vivere in via Marinuzzi, in casa di una professoressa, a stretto contatto con alti ufficiali dei Carabinieri. Riviste e giornali divulgano, cosa mai fatta prima dell’inverno ’49-’50, decine di sue foto. Il bandito inspiegabilmente si fa riprendere (17 novembre 1949) persino in un filmato di oltre cinque minuti nella famosa masseria nei pressi di Salemi. Gli è accanto Pisciotta, uomo dei CC, che ne garantisce l’identità. Dall’autunno ’49 quello è il vero Giuliano. Tranquillo e disinvolto. Mai nessuno, l’aveva visto prima dell’avvio della trattativa.
Giuseppe Casarrubea