Aguascalientes, la regione dalla quale vi scrivo, è un piccolo stato nel cuore del Messico, distante dalle coste e anche lontano dagli Stati Uniti.
Sulle guide turistiche spesso Aguascalientes non viene nemmeno segnalato oppure si legge una breve annotazione: “Da visitare in aprile, durante la feria de San Marcos”. Niente di più.
Tutt'intorno alla capitale, si estende il semideserto, una sterminata pianura dove crescono cactus, e alberi da clima arido come i mezquite e pirules. I tramonti sono rossi e arancioni; il cielo pare infiammarsi.
Il matorral non è un ambiente facile, non ci si può fare scampagnate domenicali perché ci sono spine, serpenti a sonagli e, per molti mesi all'anno, il sole spacca le pietre.
Inoltre, per raggiungerlo, bisogna spingersi oltre l'estrema periferia della città, che è una terra di nessuno, popolata da giovani disoccupati, disorientati, annoiati e spesso anche drogati, che vedendoti con il tuo cestino da picnic, potrebbero farsi venire delle idee e rovinarti la gita.
Per non privarmi del necessario piacere della natura, ho scelto di vivere vicino alla “Presa del Cedazo”. La parola presa, significa lago artificiale.
Il Parco del Cedazo è un bel parco verde grazie alla presenza di acqua, che si estende per alcune decine di ettari. Il lago attrae molte specie di uccelli migratori. Un esperto mi ha detto di averne contate più di cento.
Io che non ci capisco molto di volatili, riconosco le papere, le papere nere, gli uccelli che hanno il becco sottile, le colombe e i passeri. Più tecnico di così non ce la faccio.
Passeggiare per il Cedazo è un po' come farlo nella savana africana; è un posto pieno di animali colorati che sbucano fuori da tutte le parti. La specie predominante però è l'anatra domestica. Un luogo insomma che Konrad Lorenz avrebbe amato molto.
Dicevo che vivo vicino al Cedazo e ci vado spesso a correre.
Correre in un posto del genere, magari all'alba, è un'esperienza sublime.
Stress e preoccupazioni scompaiono; ci si riempie gli occhi di colori, si respira aria buona e l'ottimismo gorgoglia nelle vene.
Quando corro, a volte lo faccio senza lettore mp3, per immergermi nella natura e apprezzare tutti i suoni, dai cinguettii al mio respiro affannoso. Altre volte, la maggioranza, mi metto le cuffie e ascolto qualcosa.
Qualche mese fa ascoltavo un podcast di Radio Due, “Alle otto della sera”, un bel programma.
Mi ero scaricato le puntate delle vite dei grandi personaggi storici: Cesare, Napoleone, Annibale e me le ascoltavo mentre correvo.
Un giorno, mentre trottavo pacifico e rilassato, da un branco di papere al pascolo, una grande anatra grigia cominciò a starnazzare attirando la mia attenzione.
L'anatra, per qualche ragione che ignoro, andò in escandescenze.
Uscì dal gruppo, con le ali aperte e il collo proteso. Il suo becco duro puntava verso i miei polpacci nudi e le sue zampe palmate avanzavano al massimo della velocità.
Dal trotto, io passai allo scatto.
“Eh, porca puttana!", pensai
Misi distanza fra me e il volatile, poi persi interesse e tornai al podcast: vita di Napoleone. Napoleone attraversa le Alpi. Superai un gruppo di giardinieri che mi rivolse un cenno di saluto e rifeci il giro del parco.
Ero completamente assorto nella descrizione della manovra de l'armée d'Italie quando mi accorsi di essere in pericolo, girai la testa ed ecco, il papero malefico, all'attacco.
“Bastardo, non mi avrai”. Un altro scatto e via.
Individuai allora il suo territorio, sfortunatamente, ad ogni giro, dovevo invaderlo per una cinquantina di metri e lui non lo tollerava.
Ne aveva fatto una questione personale perché agli altri visitatori non dava fastidio, anzi se sospettava che avessero pane o tortillas, si avvicinava tutto gentile con i suoi qua, qua, qua.
Quando invece vedeva me, collo in giù e carica.
Decisi di deviare un po' il percorso; anziché davanti al branco, sarei passato dietro, per approfittare della protezione degli alberi.
E così la cosa andò avanti per qualche settimana. Ascoltavo i miei podcast sulla vita dei grandi uomini, ricordandomi di deviare ad ogni giro nei pressi del territorio del papero.
Poi, d'improvviso, un pensiero si formò nella mia mente. In cuffia, Annibale attraversava le Alpi e io mi rendevo conto che “scappavo da un papero”.
Ok, non sono Annibale, non sono Napoleone però... stavo scappando da un fottuto papero?
Anche in quell'occasione, deviai però il pensiero di evitare un uccello (al quale non avevo fatto niente; l'ostilità era tutta dovuta al suo brutto carattere), mi infastidì.
Dopo un chilometro maturai l'idea di affrontare la mia nemesi. Sì affrontarla, scontrarmi con il volatile. Lui aveva il becco però io contavo con un piede rinforzato da una scarpa da ginnastica.
Sul serio lo avrei preso a scarpate?
Sul serio.
E se lo ferivo? E se moriva?
Chissenefrega, è la legge del parco.
Ma davvero?
Sì.
Mi avvicinai al territorio proibito e il papero mi notò. Mi accolse come sempre: ali aperte, collo proteso in avanti e una starnazzata minacciosa.
Il papero mi corre incontro.
Anch'io corsi verso di lui... come lui.
Aprii le braccia come fossero ali e mi chinai in avanti. Cacciai anche un grido.
Ai suoi occhi , io, così alto e magro, sarò apparso come uno strano fenicottero spiumato.
Arriviamo fino a cinque metri di distanza, ero pronto a tirargli una scarpata ma ecco che il papero virò di novanta gradi scappando nel prato.
“Ho vinto!” ho pensai fra me “Cacchio ho vinto! Ho vinto il papero!”
Che trionfo.
Da quel momento, avendo dimostrato sul campo di essere un animale dominante, invasi, senza nessun senso di colpa, il territorio del povero papero. Sia chiaro, con molto rispetto. Rimanevo sul sentiero, non urlavo, non minacciavo in alcun modo le anatre.
Ogni tanto però il papero ci riprovava ma bastava che allargassi le braccia e protendessi la testa che lui cambiava idea e si ritirava.
Che grande lezione di vita mi ha insegnato il mio amico papero messicano.
Le sfide del 2015 le affronterò così: braccia aperte, collo proteso e urlo di guerra. Suggerisco di fare altrettanto!