Ogni volta che inizio la recensione di un film francese devo dire quanto mi stanno sulle palle i francesi anche se sanno fare cinema decisamente meglio di noi, questa volta ve lo risparmio…chi segue questo blog o ha già letto altri post qui presenti sa bene già quanto odi questo popolo, la sua lingua, la loro dieta e tutto ciò che ha a che fare con loro. Stavolta il film in questione è appunto Il Paradiso degli Orchi, adattamento cinematografico dell’omonimo libro di Daniel Pennac, primo capitolo della saga di Malaussèn. Lo dico subito prima di creare equivoci: non ho mai letto un libro di questa saga, anche se conto di rimediare presto, quindi non posso fare un degno paragone libro-film. Diciamo solo, però, che Pennac per vent’anni ha sempre negato i diritti dei suoi libri per produrre un adattamento cinematografico. Poi si presenta alla sua porta il giovane regista Nicolas Bary, che nella sua vita non ha fatto niente di memorabile, portando con sé un paio di cortometraggi che a quanto pare hanno convinto Pennac a lasciargli usare il suo Mallussèn per farsi conoscere un po’ in giro.
Mallussèn è un giovane di poche ambizioni, soprattutto dettate dal fatto che deve mantenere due sorelle e due fratelli più piccoli, con i quali condivide l’appartamento e la madre ma che hanno tutti padri diversi, mentre la madre è in giro per il mondo con un nuovo amante. Il giovane Benjamin, quindi, lavora in un grande centro commerciale di Parigi dove svolge un lavoro un po’ particolare e che solo lui sa fare: il capro espiatorio. Malaussèn è la vittima sacrificale per tutti gli inconvenienti e disastri che accadono con i prodotti del centro commerciale, capace con il suo sguardo da cane bastonato e il suo essere patetico di risparmiare soldi e cause penali al centro commerciale. Un giorno, improvvisamente, scoppia una bomba nel negozio, uccidendo un vecchio dipendente. La polizia sospetta non si tratti di un incidente e inizia a sospettare che dietro tutto ci sia Benjamin, che rischia di diventare un capro espiatorio più grande di quello che immaginava. In questo contesto conosce una bella giornalista di cui si innamora e che lo accompagnerà in questa avventura. Gli “incidenti” continuano e sembrano collegarsi con un vecchio caso avvenuto molti anni prima nello stesso centro commerciale.
Impossibile non guardare questo film e non pensare al recente Mood Indigo di Gondry o a Il Favoloso Mondo di Amélie di Jeunet. Le atmosfere sognanti e surreali dei racconti che Malaussèn fa i fratelli prima di andare a dormire, ricordano molto da vicino i mondi onirici di questi altri due film francesi, caratterizzando in qualche modo il cinema francese con queste caratteristiche niente affatto male. Purtroppo, però, questo Paradiso degli Orchi non si avvicina alla bellezza dei due film citati poco fa. Pur essendo un film molto godibile, infatti, non va oltre l’aggettivo “carino”. I suoi 90 minuti si lasciano guardare bene e i protagonisti (pur essendo quasi tutti dei semi-sconosciuti) fanno bene il loro lavoro. Manca però quel pathos che caratterizza gli altri lavori sullo stesso genere, rendendo a tratti il film un po’ troppo lento a prendere piede. Sicuramente ottimo per un’ora e mezzo di evasione dalla realtà, ma finisce lì. Mi informano, inoltre, che anche se molto simile al libro, il film differisce per alcuni particolari a volte anche abbastanza salienti. La pellicola si conclude lasciando aperta una porticina per una possibile saga cinematografica tratta dai libri di Pennac, ma anche chiudendo il discorso del primo film, in modo che se non ci dovesse essere riscontro di pubblica l’avventura può benissimo chiudersi qui.
Una menzione particolare per le donne di questo film, davvero bellissime, a partire dalla giornalista interpretata dallìargentina Bérénice Bejo fino a Mélanie Bernieri nella parte della sorella di Benjamin, Louna.
Un film questo che tra le righe ci ricorda qualcosa che alla fine già sapevamo: le francesi sono donne dai facili costumi. La madre di Malaussèn che fa bambini praticamente con chiunque, la sorella Louna incinta di neanche sa lei chi, una giornalista provocante che ama fotografare ed esporre le foto degli uomini che si porta al letto. E a questo punto chiediamoci: è meglio essere stereotipati come la terra della pizza e del mandolino o come quella dei truiun e delle bagette sotto le ascelle? (così…pensiero personale che non ha nulla a che vedere con il film in sé).