Il paradosso è sotto gli occhi.
L'Ilva di Taranto non può chiudere, nonostante l'inquinamento e le malattie che provoca, perché la sua fine costerebbe a noi 8 miliardi. Anche per importare l'acciaio dall'estero.
Ma nel frattempo Alcoa puòchiudere, perché la politica ha lasciato mano libera agli americani che preferiscono chiudere e costringere l'Italia ad importare alluminio, piuttosto che favorire la concorrenza (la Klesh,multinazionale Svizzera, e la Glencore).
Serve un rilancio delle imprese, eppure mi sembra si faccia un po' poco per tenere in vita quelle esistenti.
Serve affrontare il problema della disoccupazione, eppure in questi giorni leggo dei primi licenziamenti“per motivi economici”, fatti grazie alla legge Fornero.
Legge che, spiega il ministro, darà effetti nel futuro (la fase 2?), perché ora siamo in fase recessiva. E allora, mi chiedo io, quale era l'urgenza di farla così in fretta, e così male? Solo perché serviva al premier per non andare ai tavoli europei con le mani vuote? Non è un po' cinico questo?
Serve una politica industriale che indichi dove mettere i soldi, su che industrie puntare. Che non assista silente alla fine delle industrie Fiat in Italia.
Che risolva il problema energetico (un bel gap per le nostre imprese, assieme a corruzione e burocrazia, altro che articolo 18). Eppure si leggono solo proclami, proposte, slogan.
Il senatore Marino vede bene Passera tra di loro, altri lo vedrebbero bene a dare una risposta politica ai problemi dell'industria.
Perché magari non si deve difendere il posto di lavoro in sé, ma il lavoro e la dignità delle persone sì.
La mossa della BCE di Draghi ha fatto abbassare lo spread e ha dato effetti positivi alle borse. Ma rimangono le stime pessimiste dell'OCSE sul pil italiano, le statistiche su aziende che hanno presentato i libro in tribunale.
Come a dire che c'è una bella differenza tra economia reale e spread. Sull'economia c'è ancora molto da fare, e non è solo compito delle parti sociali.
Così come esiste una bella differenza tra il dire le cose e poi farle.
Vedi il caso delle società concessionarie delle slot machine (“Anche i tecnici si inchinano alle slot machine” di Ferruccio Sansa, linkato qui): un giro da 45 miliardi, mentre le loro concessioni gratuite sono scadute. Uno dei re del settore è addirittura latitante all'estero.
Ma certo, è più facile prendersela con quella nostra abitudine al posto fisso.
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