Una replica, quella del Ministro, che, però, lascia il tempo che trova, dato che, al di là del singolo caso, burocrazia, tassazione elevata, inefficienze e corruttele sono la pietra al collo del nostro sistema economico, inutile sostenere il contrario. Certo, l'a. d. di Fiat si riferiva alla sentenza a favore della Fiom, ma anche in questo caso, non è possibile dargli torto del tutto.
Naturalmente, la sentenza è giusta, poichè i comportamenti antisindacali della società di Torino sono incontrovertibili: limitazione del diritto – costituzionalmente garantito – di sciopero, limitazione delle libertà sindacali, ecc. Tuttavia, nulla si può recriminare a Marchionne, che anzi sta svolgendo un lavoro eccellente. Prima che qualcuno si arrabbi, però, si tenga presente un fatto fondamentale: non c'è alcuna connessione necessaria tra fare impresa e libertà democratiche e sindacali.
Attenzione: non è assolutamente un paradosso, anche se, soprattutto nel mondo occidentale, lo sembra. Un’azienda, infatti, è tutt’altro che una democrazia: è un sistema totalitario, guidato da un dittatore (presidente, amministratore delegato o chicchessia), che si serve della massa (i lavoratori, di qualunque livello) per perseguire uno scopo e uno soltanto, il profitto.
Non bisogna mai dimenticare, infatti, che è proprio questo il fine ultimo di qualunque impresa economica: fare soldi. Più semplice di così. Le anime candide che, ingenuamente, pensano che fare impresa voglia dire posti di lavoro, ricchezza del territorio o simili, stanno sbagliando tutto: operare per il benessere comune, non è compito dell’azienda, ma dello Stato democratico.
E, in quest’ottica, qual è il compito, in questo caso, dell’'amministratore delegato? Naturalmente, gestire l’impresa in modo da accrescerne i profitti e garantire l’arricchimento dei suoi azionisti, quali che siano i metodi adottati: spostare la produzione in Paesi con manodopera a basso costo (Serbia, Cina, ecc.); reprimere i diritti dei lavoratori (libertà sindacale, diritto di sciopero) e tagliarne gli stipendi (aumento delle ore di lavoro, obbligo di straordinari, ecc.); spostare il baricentro dell’azienda verso zone più economicamente appetibili (il mercato americano) o che hanno un occhio di riguardo per le imprese, in materia di tasse (l’Olanda); promettere investimenti che non ci saranno mai e minacciare continuamente di delocalizzare.
Da questo punto di vista, per quanto cinico, Marchionne non può essere assolutamente biasimato: ha semplicemente fatto il suo lavoro. Chi, invece, non lo ha fatto per niente, è chi gli ha permesso di fare quello che voleva, per anni. Se un’azienda è un sistema totalitario che persegue il profitto, è compito, invece, di uno Stato democratico perseguire il benessere sociale (diritti civili, diritti politici, libertà laiche, ecc.) ed economico (diritto al lavoro, redistribuzione del reddito, welfare, ecc.) della comunità.
Per anni, invece, vuoi per convenienza, vuoi per sincera convinzione, molti politici hanno applaudito Marchionne come il salvatore dell'intero sistema economico italiano, salvo, poi, fare gli indignati, nel momento in cui i metodi dell'a. d. si sono dimostrati poco compatibili con le regole della democrazia. E con quanta ipocrisia, ora, lo contestano.
Dov'erano queste persone, mentre il sistema Paese crollava a pezzi, permettendo a squali, come lo stesso Marchionne, di fare i loro comodi? Dov'erano queste persone, quando agli operai Fiat è stato imposto il diktat "o lavori alle mie condizioni o me ne vado all'estero e tu perdi il posto"? Se al manager di casa Agnelli è stato permesso di fare tutto questo, come sarà possibile impedire ad altri imprenditori di fare altrettanto?
Come si ferma la delocalizzazione del nostro sistema industriale, senza rinunciare alle libertà sociali ed economiche? La risposta, nel nostro blog, l'abbiamo data fino alla nausea: INNOVAZIONE. Eppure, proprio chi dovrebbe darsi da fare per un completo restyling dell'economia italiana, è fermo su posizioni vecchie (ritorno al nucleare, tanto per dirne una) o palesemente fallimentari (precariato, su tutti).
Forse, il vero paradosso non è la Fiat, ma la nostra classe dirigente.
Danilo