Cani sì, bambini no. Fosse uno scherzo ci sarebbe da ridere – e pure tanto -, invece il divieto del parco di Villa Groggia, a Venezia, è purtroppo vero: per i bambini dai 2 agli 8 anni l’area verde in questione è off-limits. Fuori. Out. Niente più corse o scorrazzate, né piccole feste di compleanno organizzate nell’adiacente ludoteca. Motivo: si procura disturbo ai cani. Proprio così. Lo ha stabilito l’ufficio relazioni col pubblico di Venezia a conclusione di una vicissitudine iniziata dopo che un bambino, esplodendo un palloncino colorato, aveva mandato su tutte le furie la padrona di un barboncino, la quale per qualche istante deve aver temuto d’aver a che fare con Unabomber.
Battute a parte, la vicenda – per quanto rappresenti, con ogni evidenza, un “caso limite” – è emblematica della cultura animalista dei nostri giorni. Una cultura che, riferiva ieri il sito di Repubblica, «mentre mercati ed economia venivano asfaltati da Lehman, subprime e recessione» solo in America ha fatto registrare un aumento di spese per gli animali «del 30%, arrivando a 53 miliardi, più del pil della Tunisia». Beninteso: con questa denuncia non s’intende tacere, minimizzare e men che meno legittimare alcuna forma di maltrattamento nei confronti degli animali i quali – spiegava già Tommaso d’Aquino – si possono eliminare solo quando necessario e solo nel modo più rapido ed indolore (Cfr. S. Th. , I-II, q. 102, aa. 6 – 8).
Solo, viene da chiedersi se non abbia del tragicomico e del gravemente paradossale una società dove – com’è accaduto in Spagna nel giugno 2008, attraverso l’approvazione parlamentare del progetto Gran Simios – da un lato si estendono i diritti umani ai grandi primati e, d’altro lato, non solo si consente, ma addirittura si finanzia l’aborto procurato e persino l’eutanasia neonatale; una società quindi attentissima al mondo animale ma sostanzialmente affetta da una sorta di pedofobia precoce, come dimostrano il parco vietato ai bambini ed altri casi ancora più clamorosi come quello, segnalato qualche anno fa, di Firhall, paese della Scozia dov’è vietato vendere casa a chi ha la “colpa” di avere dei figli.
Siamo nel mondo dove da una parte si torna a discutere dell’infanticidio – (Cfr. Journal of Medical Ethics, 2012; doi:10.1136/medethics-2011-100411) – e dove Jeff McMahan, filosofo del New York Times, può scrivere che «l’infanticidio è giustificabile», e dall’altra si commercia a 400 dollari il tapis roulant per animali. Da una parte l’umiliazione dell’uomo, dall’altra l’esaltazione dell’animale. Lo ribadiamo a scanso d’equivoci: qui non si vuole discutere la necessità di rispettare il mondo animale, ma solo denunciare il vergognoso strabismo di una civiltà che sta perdendo se stessa e i propri valori fondamentali. E che, giorno dopo giorno, somiglia paurosamente a quella senza Dio e senza Chiesa temuta dal Santo Curato d’Ars (1786-1859): «Cent’anni senza prete e la gente finirà per adorare gli animali».