Il Parsifal ritrovato di Caserini

Creato il 02 gennaio 2014 da Mutosorriso @emutofu

Si credeva perduto, ma all’inizio degli anni Novanta, per uno di quei fortuiti e apparentemente inspiegabili casi di cui il Cinema, sopratutto delle origini, è costellato, il Parsifal di Mario Caserini è stato ritrovato in Olanda. La copia, con didascalie olandesi, faceva parte della preziosissima collezione Jean Desmet, nominata nel 2011 patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Una copia del restauro realizzato dal Nederlands Filmmuseum di Amsterdam è stata acquisita nel 1992 dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e proprio alle porte del Museo di Torino è andato a bussare qualche anno fa il Maestro Luca Salvadori, già noto al mondo cinematografico per numerose colonne sonore per il cinema e la televisione.
«Ero in cerca di un film muto, con tema sacro. Mi proposero tre titoli, uno di questo era proprio Parsifal.» Così Salvadori stesso ha spiegato il 30 dicembre scorso, prima della proiezione nella Chiesa di San Giovanni Battista a Formia, la nascita di questo progetto, per il quale ha composto numerosi temi per organo, da usare come un continuum durante la proiezione, seguendo uno schema molto lasco, vincolante solo in certi punti, in scene e gesti il cui commento risultava necessario ed efficace. Il passaggio da un tema all’altro e l’interpretazione degli stessi è completamente da affidarsi all’improvvisazione e alle sue spiccate qualità di strumentista.
Alle immagini è affiancata anche una sonorizzazione ambientale che risponde a determinati movimenti, come il suono degli zoccoli dei cavalli in corsa, ma anche scollegata da questi e costituita da suoni puramente elettronici, che aggiungono poco o nulla alla resa complessiva.

Personalmente non conosco l’evoluzione nel tempo e nelle varie redazioni letterarie, operistiche o teatrali del personaggio Parsifal o Parceval, quindi non saprei riconoscere la fonte a cui Caserini e gli sceneggiatori (Alberto Capozzi e Arrigo Frusta) si siano ispirati. L’opera di Wagner è sì antecedente (1882) ma la prima in Italia, a Bologna, è solo del 1914. Nonostante ciò la trama vi aderisce in buona parte.

Amfortas, cavaliere della Tavola Rotonda e custode del Sacro Graal, viene tentato e sedotto da Kundry, oscura maga che agisce in collaborazione con Klingsor. Amfortas non è più degno di tale titolo e disperato cerca consolazione nel vescovo di Monsalvato, che dopo averlo visitato ha in visione un giovane puro e forte, Parsifal, destinato a difendere la sacra coppa. In sogno Parsifal viene chiamato a tale incarico e decide di partire alla volta di Monsalvato. Sulla sua strada incontra i due demoni, Klingsor e Kundry, che trasformandosi, ora in mendicanti, ora in principi, tendono inganni al fiero Parsifal che sorretto dalla forza della fede giunge in tempo là dove sono riuniti i cavalieri della tavola rotonda. È profondamente deluso dalla compagnia, del tutto differente dalle aspettative, ma lì incontra casualmente il vescovo che riconosce chi gli era apparso e presto lo nomina custode placando la disperazione ed i sensi di colpa di Amfortas.

L’opera è del 1912, Caserini lavorava per l’Ambrosio Film di Torino, il film in costume spopolava, ma il regista romano stava già trovando la sua dimensione, la sua identità, in quel tipo di cinema. La accuratezza degli ambienti e la calcolatissima messa in scena dei suoi film sposavano la teatralità assoluta dei suoi attori. Vitale De Stefano (Parsifal), Antonio Grisanti (il vescovo), Mario Bonnard (Amfortas) nella loro enfatica e descrittiva interpretazione non fanno discostare molto questo Parsifal dalla produzione dell’epoca.
Da parte sua, Caserini, lavora bene su almeno un paio di elementi. Mentre il montaggio è il più elementare possibile con un’inquadratura per scena, in molte di queste intervengono dissolvenze e tagli “à la Meliés” che permettono di visualizzare apparizioni, sparizioni, trasformazioni, così come il soggetto tra mitico, cavalleresco e religioso richiede. Ho molto apprezzato i viraggi (resi splendidi da un restauro nitido e pulitissimo) che ben collocavano i luoghi d’azione ed esaltavano le riprese di esterni. La scena seppur fissa non è mai piatta: i personaggi si muovono sempre diagonalmente, in profondità, mai paralleli al piano dell’immagine.
Una scena sopratutto gioca su questi movimenti e risulta esemplare. Parsifal sta lasciando la casa materna, parte a cavallo e la madre (Maria Gasparini, moglie del regista) e altri due personaggi lo salutano dal balcone. Caserini riprende la scena dal retro, dall’interno della casa, senza mostrare Parsifal. I tre personaggi di spalle si muovono lungo il balcone sfruttandone l’estensione e restando a fuoco, grazie alla pellicola ortocromatica e all’ampia profondità di campo possibile. Questo movimento, esaltato dal contrasto nero-luce, dentro casa-fuori casa, dona alla scena e ai loro saluti naturalezza e commozione.
Anche un’altra scena è degna di nota. Il vescovo narra a Parsifal la storia del Sacro Graal e Camerini ne visualizza il racconto, come in un flashback, raffigurando la crocifissione nel momento in cui viene inflitta la lancia nel costato di Gesù e Giuseppe di Arimatea ne raccoglie il sangue nella coppa. Sceglie di filmarla in controluce con tutti i personaggi ridotti ad ombre i cui gesti vengono, in questo modo, sublimati. Lo sfondo è luminosissimo e questo effetto, questo contrasto, è di notevole drammaticità visiva.

Salvadori all’organo ha saputo sottolineare il drammatico e l’avventuroso che connotavano questo Parsifal con lunghi accordi tenuti, ritmi spezzettati e sottili dissonanze, ricevendo un lungo e meritato applauso.
Certo sarebbe opportuno fare delle nuove didascalie in italiano da sostituire a quelle olandesi per restituire all’opera la sua piena godibilità ma poter godere di tutto ciò, dal vivo ed in una chiesa, come in questa occasione, ha lasciato il pubblico, non propriamente abituato a questo stile cinematografico, sorpeso, del tutto soddisfatto e, ne son sicuro, anche incuriosito.


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