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Il particolare e l’universale: se un blog diventa solo chiacchiericcio

Creato il 09 luglio 2012 da Autodafe

dIl particolare e l’universale: se un blog diventa solo chiacchiericcioi Cristiano Abbadessa

Sfoglio un magazine di quelli che vengono dati in allegato obbligatorio ai quotidiani, in alcuni giorni della settimana (dico subito che non li amo molto, e che spesso mi infastidisce mettere sul piatto i 30 centesimi in più per un veicolo pubblicitario che si dovrebbe pagare da solo e sul quale leggo ben poco). Noto di sfuggita un articolo sui blog delle mamme, che pare siano di gran moda, e mi cade l’occhio su un boxino dedicato ai papà blogger. Ne vengono citati due o tre, e noto subito l’assenza del blog di un caro amico, che esiste addirittura da quasi dieci anni, un po’ per la sensibilità personale dell’autore e un po’ perché l’amico in questione è fra l’altro uno che i siti li crea ed è quindi stato quasi per forza di cose un pioniere anche in questo campo specifico.
I blog segnalati non mi sembrano gran cosa, e mi interrogo sui criteri di scelta. Escluderei, per una volta, la raccomandazione o l’interesse privato: non mi pare il caso. Forse c’entrano le modalità di interrogazione del web, ma sarebbe un po’ strano (l’amico è un tecnico che conosce i trucchi per evidenziare il suo sito rispetto alle chiavi di ricerca). Alla fine, pesando i blog, mi convinco che sono stati segnalati quelli più intimisti e personali, i racconti di esperienze, le memorie e i ricordi; a scapito di blog, come quello del mio amico, che invece affrontano tematiche di un certo spessore, veicolano consigli utili, mettono addirittura a disposizione materiali per il divertimento e l’educazione dei figli (ci sono maschere da ritagliare, racconti autoprodotti, indirizzi e riferimenti).
La cosa un po’ mi sconforta, se penso alla missione che si è data Autodafé in campo editoriale.
D’altra parte, anche in questo nostro blog resto di frequente perplesso per lo sviluppo dei dibattiti. Se cito quale esempio una recensione di un film, ecco che subito piovono interventi per discutere il mio giudizio sul film citato. Se addito una forma di comunicazione in una polemica tra allenatori, mi ritrovo impelagato in un dibattito sul valore di questo e quel tecnico di calcio o sull’esistenza o meno di una “cupola” che avrebbe condizionato il mondo del pallone italiano in un preciso periodo.
È vero che io stesso ho detto la mia su questi argomenti, ma dovrebbe essere chiaro che ho utilizzato un espediente narrativo e che l’ho fatto per vivacizzare il mio intervento, per dargli un contesto, per partire da un fatto e trarne una riflessione senza limitarmi a un noioso filosofeggiare. Ma il cuore dell’intervento avrebbe dovuto essere appunto la riflessione successiva, e non mi sarei aspettato di dover discutere del valore di un film o delle capacità di un allenatore, bensì di trovarmi a scambiare opinioni sulle contraddizioni insite in certe recensioni o sull’efficacia comunicativa di certi atteggiamenti sprezzanti. Di parlare del merito, e non degli esempi, per farla breve.
L’impressione, troppo spesso, è che i blog e la rete (tanto più i social, ovviamente), diventino semplicemente il luogo in cui ciascuno esterna mettendo in piazza idee o episodi che poco interessano, mentre rimane al margine quel confronto sui temi più seri e universali che potrebbe servire alla crescita umana degli interlocutori. Il chiacchiericcio può essere piacevole, ma ovviamente dovrebbe trovare le sedi adatte: in un blog come questo non mi aspetto di disquisire a lungo sul valore artistico di Tree of life o sui meriti tecnici di Zdenek Zeman (come invece sarebbe logico in siti di cinefili o di calciomani); così come in un blog per papà mi aspetterei appunto consigli e utili scanbi di esperienze, piuttosto che leggere “l’emozione per la prima ecografia” o che la nascita “è stata il giorno più bello della mia vita” (tanto per citare delle banalità che oltre a essere ovvie sono anche private e di nessun interesse per chi legge).
Il timore è sempre quello di essere fuori moda, e di aver sbagliato tutto pensando che una narrativa sociale potesse trovare tanti lettori stanchi del noioso intimismo che ci sommerge.
Forse mi sbaglio o forse no, e magari l’apparente superficialità e leggerezza è solo un modo per evitare di mettersi troppo in gioco o prendersi troppo sul serio, fermandosi a discutere sugli elementi marginali (ma divertenti) per non affrontare quelli essenziali (ma barbosi).

A proposito: anche questa volta sono partito da un caso specifico per dare tono e colore al mio ragionamento. Ma gradirei non ritrovarmi invischiato in una polemica su chi sia il miglior papà blogger.


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