Magazine Bambini
Lo scorso anno, in questi giorni ero una grossa pancia vagante, che si aggirava speranzosa in una piccola casetta nuova, ricamando un corredino colorato, un po' intimorita da quello che la avrebbe a breve, inevitabilmente, aspettata: IL PARTO.
Sebbene piuttosto istruita e informata sul tema, sebbene avessi nutrito la mia capacità di concentrazione e rilassamento con corsi di yoga e sedute di "posizione cinesina" ripetute a volontà, e sebbene aspettassi il giorno del corso pre-parto con la stessa bramosia con cui un'adolescente aspetta il sabato sera, avevo la sensazione che, comunque, non sarei arrivata preparata all'evento e che quello che mi aspettava sarebbe stato inimmaginabile.
A fare crescere in me quest'idea erano anche i continui racconti di parto che mi sentivo continuamente fare da chiunque incontrassi: nonne, conoscenti, zie, amiche, giornalaia, colleghe.Non solo nelle sedi deputate (come il corso appunto, dove le non primipare accennavano la loro esperienza passata senza però svelare troppo), ma ovunque.
Ora mi chiedo: cosa spinge una donna che ha partorito magari 70 anni fa a raccontare la propria esperienza, corredata da tutti i dettagli più scabrosi, a una donna, come lei, che sta per partorire, e questa condizione, diciamo è piuttosto visibile.
Qual'è lo scopo? TERRORIZZARE???
Eppure non c'è storia, mi sono sorbita racconti di tutti i generi: ginecologi che saltano sulla pancia della partoriente per far scendere il bimbo, madri in travaglio che mordono le infermiere, ostetriche maltrattanti, figli che nascono dai piedi, strappi vari, ricuciture e ricami vari ( ma con che punto scusi!) e postumi.A questi racconti io deglutivo, e annuivo in silenzio, poi spesso ripensando e fantasticandoci la sera piangevo.
Quello che mi colpiva era che dopo tutti quei dettagli, forse vedendo la mia faccia che lentamente sbiancava, tutti terminavano con questa frase: "Ma dai, siamo così tanti nel mondo e in fondo siamo tutti nati da lì". Non so a voi ma a me questa frase non mi ha mai consolato un gran chè.
Ora dopo un anno dal MIO PARTO, mamma anche io, una spiegazione a questo fenomeno e a questa irresistibile necessità di raccontare me la sono data.Il parto è davvero un'esperienza INIMMAGINABILE per le sensazioni estreme, per la forza e l'istinto che scatena, per la parte primordiale che risveglia, per lo stupore e la consapevolezza che porta. Forse è così sconvolgente che le mamme hanno bisogno di uno spazio per rielaborarlo, anche attraverso le parole. Per riprendere la vita reale e andare avanti nella nuova veste c'è bisogno di collocare quest'evento in una scatolina nel cervello con un'etichetta precisa che è diversa per ognuno di noi. Questo è il punto chiave: per ognuno di noi è DIVERSA.
Forse per questo è importante e necessario parlare e raccontare, anche in tempi diversi, di questa esperienza, perchè ogni volta che si ripete il racconto, un po' si rivive l'esperienza e la si ri-inscatola con uno sguardo diverso.Forse è per questo che vedere una panciona scatena questa valanga di racconti.
E allora che fare???
Parlarne, ma guardare e scegliere con cura il destinatario del racconto.
D'elezione l'ostetrica di fiducia, le amiche che hanno già partorito, il compagno, la nostra mamma. Da evitare, PLEASE; le pancione e chi ancora il parto lo ha solo nei sogni.