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Il passato che verrà: passeggiata tra paradossi e scherzi del tempo

Creato il 23 novembre 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

LA_MQU~1di Umberto Scopa. La nostra proiezione verso il futuro ha molte facce, e parte da lontano, se già i sacerdoti romani, detti aruspici, cercavano nelle viscere degli animali sacrificati le rivelazioni di ciò che doveva accadere. Esisteva una tecnica complicatissima di lettura delle viscere e quindi immagino molto convincente, perché il punto fondamentale in definitiva, il vero scopo, non è prenderci, ma convincere i contemporanei dell’affidabilità di chi fa le previsioni. Può sembrare singolare che la fama di affidabilità possa essere guadagnata da chi ha sbagliato precedenti previsioni, ma l’umanità si rivela su questo punto abbastanza indulgente. Con qualche scusa ben congegnata sarà possibile convincere che il metodo è affidabile o è più affidabile di quelli concorrenti, usando antichi sempreverdi espedienti di cui la politica per esempio si è appropriata da tempo in modo molto disinvolto. Evidentemente gli aruspici romani, a dispetto dei copricapo a forma di cono che indossavano, erano ritenuti molto credibili, considerato che questa pratica ha accompagnato l’impero romano per tutta la sua non breve durata.

In ogni modo capire prima cosa sta per accadere, o far credere di averlo capito, è il motore del mondo. Purtroppo se questa proiezione verso il futuro esigeva già nell’antichità il sacrificio di animali, ad oggi dobbiamo dire che il progresso umano ha preso il volo, senza rinunciare tuttavia a questo tributo di vite animali. Da allora ad oggi l’umanità ha procurato l’estinzione totale del venti per cento delle specie di uccelli, e altrettante di pesci e la sua unica difesa è affermare che questo sarebbe l’effetto collaterale di un’evoluzione, la nostra, che ci rende padroni del mondo, sempre più capaci di averlo sotto controllo, e capaci di proiettarci nel futuro con previsioni sempre più affidabili. Forse è proprio la cognizione del tempo un fattore che ha fatto spiccare il volo alla nostra specie atterrandone molte altre. Se l’uomo sia davvero l’unico animale che ha cognizione del tempo non possiamo affermarlo con certezza, sicuramente però è l’unico in grado di spegnere una sveglia prima che suoni. Siamo in grado di prevedere e impedire un accadimento. Possiamo sapere che tempo farà nel Week end e regolarci di conseguenza e qualcuno dirà che la cosa sposta poco nella storia dell’umanità, ma attenzione, nella notte dal 17 al 18 giugno 1815 un nubifragio inatteso (come racconta Victor Hugo in un epico capitolo de “I miserabili”), avrebbe deciso il destino dell’Europa, impantanando l’artiglieria di Napoleone a Waterloo e determinando l’esito di una battaglia estremamente incerta. Con un buon metereologo al seguito di Napoleone non ci sarebbe stato il congresso di Vienna, la restaurazione e chissà dove saremmo oggi. La corsa dell’individuo verso il futuro, cioè sapere prima degli altri quello che accadrà, può dare molti vantaggi concreti, ed è evidente che è anche un terreno sul quale la competizione umana gioca una partita fondamentale da sempre. La nostra proiezione verso il futuro non è quasi mai uno slancio conoscitivo puramente fine in se stesso, ma è finalizzato talora a favorire avvenimenti o impedire avvenimenti contrari ai nostri interessi.  L’essere umano è pragmatico e non possiamo biasimarlo del tutto se avendo previsto un disastro imminente cercherà di impedirlo. La chiamano prevenzione, concetto legittimo, ma anche abusato da molti fautori di guerre che hanno concepito appunto le guerre “preventive”. Gli interventi umani tesi a correggere il corso futuro degli eventi, soprattutto se così gravi, dovrebbero essere sempre basati necessariamente su una seria e attenta attività previsionale del futuro. Intendo dire che se si vogliono produrre sulla realtà effetti gravi affinché altri più gravi effetti non si verifichino occorre la ragionevole certezza che altrimenti questi ultimi si verificherebbero. Fino a questo punto, senza entrare nel merito della credibilità dei fautori dei vari interventi, perché questo aprirebbe un’altra discussione senza fine, il discorso può sembrare sensato. Ma non tiene conto dei cosiddetti effetti collaterali non voluti che curiosamente sono chiamati collaterali non tanto perché necessariamente meno importanti, ma perché semplicemente non voluti, non messi in conto. L’area degli effetti cosiddetti collaterali in realtà è talmente estesa che volerla ignorare è quasi puerile, ammesso che l’umanità abbia raggiunto l’età adulta, il che è tutto da vedere. Siamo bravi a prevedere certi effetti come conseguenza delle nostre azioni, ma la nostra capacità di vedere il domani resta molto miope e non si accresce con l’espandersi del nostro potere d’intervento sulla realtà. Il fatto è che il nostro intervento è sempre limitato, e troppo circoscritto, mentre gli effetti da noi messi in moto si propagano in modo incontrollato a catena e sono illimitati e imprevedibili. Pur con tutta la nostra scienza dunque prevedere il futuro su dimensione globale, cioè oltre la piccola serra da laboratorio che abbiamo battezzato come teatro delle nostre imprese tagliando fuori dalla nostra osservazione i cosiddetti effetti collaterali, resta un’impresa nella quale i progressi stentano a vedersi. Anche grandi intelletti hanno sperimentato questo limite che ci impedisce di vedere fenomeni di enorme portata prossimi a venire. E’ divertente annotare alcuni celebri buchi nell’acqua di grandi intellettuali che si sono lanciati in previsioni del futuro. Asimov, per esempio, che pure immaginava l’uso del computer, vedeva necessariamente procedere l’evoluzione di questo strumento e della sua potenza di pari passo all’espansione delle sue dimensioni fisiche. Non sospettava neppure lontanamente l’avvento delle nanotecnologie, visto che il Multivac, il computer di tante sue storie, era grande come una città. La corsa verso le piccole dimensioni oggi è arrivata al punto che Balzac, considerato uno dei romanzieri più prolifici della storia, se volesse riscrivere il suo centinaio di romanzi, avrebbe difficoltà in tutta una vita a riempire una chiavetta usb così leggera che dimenticheremmo facilmente nella tasca dei pantaloni. E ancora, l’astronomo William Pickering, dopo il primo decollo dei fratelli Wright, quindi in tempi in cui il volo era cosa possibile, escludeva con spavalda certezza che un giorno saremmo arrivati ad avere un traffico di macchine volanti in grado di sorvolare l’oceano cariche di viaggiatori. Quello che non riusciva a prevedere non era la possibilità tecnologica, ma un mondo globalizzato dove ci fosse la necessità di spostamenti così frequenti di tante persone da una parte all’altra.  Lo scrittore di fantascienza P. Dick, rispondendo alla domanda di un giornalista che gli mostrava un modello precursore degli odierni cellulari, aveva escluso del tutto che quell’apparecchio telefonico in grado di seguire le persone ovunque potesse avere una qualche possibilità di diffusione di massa  nella vita degli uomini. Il telefono cellulare, rappresenta il più radicale cambiamento di vita intervenuto negli ultimi due secoli, ma i grandi intelletti del passato non lo avevano previsto. Naturalmente non è difficile trovare qua e là nei pensatori del passato l’intuizione di futuri strumenti tecnologici. Gli appunti di Leonardo da Vinci sono un campionario formidabile. Verne aveva immaginato che saremmo arrivati sulla luna sparati con un cannone, e ci è andato vicino, a parte l’uso del cannone che oggi non distoglieremmo mai dal suo prioritario impiego nelle missioni di “pace”.  Aveva intuito il sottomarino atomico, la televisione anche, ma la cosa difficile era immaginare in che modo avrebbe cambiato la società.  Quello che risulta più difficile immaginare è il cambiamento determinato nelle abitudini di massa per effetto di certi strumenti o certi fenomeni che pure si possono indovinare. Perché entrano in gioco evidentemente troppi fattori imponderabili. Alla prova dei fatti la fantascienza, che si occupa di gettare lo sguardo sul nostro futuro, volente o nolente finisce col generare in noi l’idea che comunque ci sforziamo di prevedere le cose queste andranno in un altro modo. Il catastrofismo in questo modo può apparire in una luce benevola, come se l’averlo immaginato bastasse a scongiurare il suo avverarsi. Ma se la fantascienza ci insegna che il futuro non è prevedibile, si è spinta anche oltre fino a ipotizzare che neppure il passato è “prevedibile”. E questo è forse il punto più interessante e paradossale. Il viaggio nel tempo passato fatto allo scopo di  modificare gli avvenimenti, e conseguentemente modificare il tempo da cui proveniamo, espediente narrativo che abbiamo visto in tanti film e romanzi, colloca il passato in una dimensione temporale che non è al sicuro dalla nostra possibilità di intervento. Il passato viene risucchiato nel calderone del futuro che potrebbe un domani con tecnologie oggi impensabili rivoltarlo come un calzino. Insomma, non solo il futuro non siamo in grado di prevedere, ma neppure il passato! Se non vogliamo precludere al futuro la possibilità di modificare il passato, e non possiamo porre limiti al futuro naturalmente, dobbiamo concludere che il passato non esiste, ma esiste solo il futuro che deve ancora venire e deve ancora decidere quale assetto avrà il passato. Facciamo un esempio. Un domani, deluso dalla mia vita, decido di tornare nel passato ed impedire ai miei genitori di concepirmi. Scopro (con una certa delusione) che me ne sono grati e da quel momento non esisto più, perché non sono mai nato. Il mio vissuto è reale solo nella misura in cui il futuro lo vorrà, ma non sapendo oggi se lo vorrà o no, devo considerarlo già oggi solo una mera possibilità. Il futuro dunque non c’è ancora ed è da lì che devono arrivare tutte le risposte. Se così è potrebbe rimanerci male la storiografia ufficiale che non si lascia contraddire volentieri. Potrebbe riaprirsi la partita di Waterloo e Napoleone rallegrarsene, oppure, come racconta in un suo romanzo Philip Dick, il protagonista Jim Parson, potrebbe essere trasportato  nel XVI secolo con lo scopo di eliminare il navigatore inglese sir Francis Drake, perché la sua morte potrebbe impedire la successiva colonizzazione europea del Nuovo Mondo e il genocidio degli indiani d’America. Se non possiamo escludere che in futuro questo si possa fare, e non possiamo, allora il passato è diventa solo una mera possibilità.

Che il passato poi sia un terreno di conquista qualcuno lo ha già capito da tempo.  Qualcuno ha già pensato che per la riscrittura del passato non occorre aspettare necessariamente il futuro, ma si può già fare qualcosa per trarne dei vantaggi concreti nel presente. Pensiamo al revisionismo. A coloro che negano i lager nazisti e così’ via. Se un giorno a forza di insistere riuscissero a convincere il mondo delle loro affermazioni negazioniste quel passato sparirebbe. Qualcuno ricorderà il regime del grande fratello di Orwell con l’apparato dedito alla riscrittura della storia. Orwell immagina un futuro in cui ci sono apparati di potere addetti alla riscrittura della storia ad suo uso e consumo di chi governa. Gli antichi imperatori romani cancellavano le memorie degli imperatori precedenti (la cosiddetta “damnatio memoriae”), ma la riscrittura della storia và oltre, si parla proprio di reinventare l’accaduto e riedificarlo nei minimi dettagli. Senza guardare troppo lontano è evidente che nel nostro paese oggi è in atto a più riprese un’opera di ritocco mirato del volto del ventennio fascista per attribuirgli un aura più benevola, magari grottesca, ma inoffensiva. E la cosa fa immensa tristezza.  Descrivendoci questo futuro dove si governa riscrivendo la storia  Orwell voleva metterci in guardia, spaventandoci. Forse è un’utopia romantica l’idea che si possa cambiare il presente spaventando i nostri contemporanei con la descrizione un futuro inquietante che stiamo imboccando. La cosa non ha mai funzionato perché il futuro non spaventa gli esseri umani più di quanto possano fare le previsioni del tempo che mettono pioggia nel prossimo week end. Lo stesso Orwell voleva salvarci da un futuro Grande Fratello e dalla riscrittura della storia e il risultato lo abbiamo sotto gli occhi.

Featured image, una “macchina del tempo” nell’allestimento del Museo di storia di Valencia, fonte Wikipedia.

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